martedì 31 luglio 2007

Divagando con Lisa

Era da un po' che Lisa Manosperti non transitava da queste contrade. Ma il vento della musica fluttua e l'incontro tra la sua voce profonda e marcata e la Puglia delle note si è infine riproposto: più precisamente a Gioia del Colle, dove ogni anno il cartellone organizzato dall'amministrazione comunale lascia convergere qualche appuntamento nell'affascinante (e, nell'occasione, ventilatissima) area archeologica di Monte Sannace, location stuzzicante e gravida di atmosfera. Però, diciamolo, pure, l'idea di ritrovare la Manosperti si è scoperta immediatamente buona: per l'intensità del live, per il profilo variegato del repertorio e per la formazione che l'ha accompagnata sul palco (il saggio Nucci Guerra, al bandoneón e alla chitarra, e il prode Felice Mezzina ai sassofoni). Sèguito che, poi, non è la formazione abituale. O meglio, completa: «Anzi, la situazione in trio è una novità dettata dalle contingenze. In realtà, nel caso specifico, sono mancate la ritmica e il quartetto d'archi, che solitamente ci sorreggono. Si è deciso di rischiare, è vero, ma a me richiare piace», sottolinea la vocalist di Bitetto. Che, nel frattempo, ha anche ricordato la sua ultima creazione discografica, un omaggio ad Edith Piaf, assemblato dall’etichetta leccese “Dodicilune” . Album, peraltro, in distribuzione dal primo agosto: esattamente un giorno dopo il concerto gioiese. Spartiti tra le vestigia del passato. Ed esibizione intrisa di molte nostalgie: ammiccando alla produzione della citata Piaf, ma anche all’immortalità dell’opera di Piazzolla (poteva mancare Libertango? No, assolutamente), alle composizioni gitane in lingua spagnola, ai clasici jazzistici (tra gli altri titoli, la gershwiniana “Summertime” e la più moderna “Spain” di Chick Corea), alle composizioni di Kurt Weil, ai successi della portoghese Dulce Pontes (la versione di “O Infante” è carica di toni e sentimenti) e alle partiture di Ennio Morricone (“C’era una Volta il West”). E divagando tra stili differenti eppure affini, shekerati con gusto, sicurezza e un pizzico di sana tensione emotiva, saturi di effetto e di modulazioni. Oltre che musicalmente ben gestiti da due navigatori antichi del palcoscenico come Mezzina e Guerra, sempre pronti a cercarsi e a intrecciarsi. La maturità artistica di Lisa Monosperti, al di là delle frequentazioni sonore, è tuttavia palpabile. Maturità avvalorata anche dalla felicità di espressione in quattro lingue, italiano escluso, dalla facilità di connessione con il pubblico e dalla capacità di personalizzare (anche con dichiarata enfasi) ogni singola interpretazione. Elementi, questi, che - una volta combinati – mantengono il concerto sempre vivo e vigoroso, tutt’altro che scontato. E che non corre il pericolo di restare schiacciato nelle maglie degli standard, troppo spesso abituati a togliere, piuttosto che a dare. Maglie inespugnabili, tante volte, come ragnatele spesse. Ma disposte, talvolta, a lacerarsi: sotto la spinta di forti dosi di fondamentali, di cuore, grinta, passionalità e carattere.

Lisa Manosperti (voce), Nucci Guerra (bandoneón e chitarra) & Felice Mezzina (sassofoni)
Gioia del Colle (BA), Area archeologica di Monte Sannace

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)

domenica 22 luglio 2007

Sapore di Capoverde

La ragazza accompagna sicura il suo fascino già maturo e profondamente consapevole, ma praticamente naturale. Ha corpo e voce. E movenze. E una sensualità che affonda, si insinua, attacca, coinvolge. Senza violentare chi la ascolta e la guarda. Non una sensualità feroce. Il sorriso è aperto e l’istinto di comunicazione è solare, come la terra che rappresenta e canta, da una diecina di anni o poco più: Capoverde, arcipelago dominato dai portoghesi e stato sovrano da pochissimi decenni, geograficamente parte dell’Africa, ma universo culturale nutrito da peculiarità proprie, forti, vitali. La ragazza prova anche il passo di danza che attira il popolo, ma dimenticando saggiamente di caricare i toni, bagnandosi di semplicità. Amplificando ugualmente lo spettacolo e, soprattutto, l’audience. Aggiungendo al folklore, però, anche una buona arte vocale. Che è poi la sostanza della terza tappa del Locus Festival 2007. Lura è una ragazza di trentadue anni che si esibisce ovunque (spesso anche in Italia e in Puglia: l’anno scorso era a Diso, in Salento) e che ovunque riscuote compiacimenti: e non solo per le qualità somatiche. Lisbonese di nascita, ma di genitori capoverdiani, sbarca sulla scena internazionale con un fortunatissimo lavoro, «De Corpu Ku Alma», datato anni novanta. Da lì in poi il cammino è segnato. Merito di una simpatia spontanea e di un pop suadente e, magari, anche robusto che, tuttavia, non sgualcisce e non deprezza le atmosfere e le fragranze del suo Paese. Il suo prodotto, sia chiaro, è di sapore moderno (ben più moderno, ovviamente anche per motivi anagrafici, di quello di Cesária Evora o di Hermínia), ma sobrio e composto, ben curato nei dettagli, equamente diviso tra tradizione (il batuco o il funamá, due generi tipicamente capoverdiani che non coincidono con la più conosciuta morna) e progresso. Piazza Convertini, tra le cummerse di Locorotondo, può così appropriarsi di un personaggio positivo e di un sound che lascia trasparire la personalità del suo leader e la versatilità della band, discreta e presente, assolutamente complementare, eppure mai invadente (la batteria non picchia, gli arrangiamenti appaiono mirati, non si concretizzano note elettriche o elettroniche, l’eleganza è costantemente salvaguardata). Particolari, questi, che lasciano volentieri sorvolare sullo spessore – certamente non ricco – dei testi. Che, peraltro, non ha mai caratterizzato il movimento musicale capoverdiano, neppure in passato. Incuriosisce, semmai, l’assenza del cavaquinho, lo storico chitarrino di orgine portoghese, ma il problema non sussiste. Basta ascoltare e vedere Lura, per rimanere soddisfatti. E per compiacersi della scelta del Locus Festival, contenitore che, per l’occasione, ha voluto abbracciare varie direzioni e indirizzi musicali, navigando tra artisti di già solida o solidissima notorietà (Fresu o Battiato, che è poi il prossimo guest della rassegna, il trenta luglio), interpreti ancora rampanti (Chiara Civello o Gianluca Petrella) o, appunto, espressione di altri universi culturali. Come questa ragazza di Lisbona, tornata alle proprie origini per offrire un nuovo tassello del mosaico musicale di questo secolo, privo di confini artistici e sociali. A qualcuno, forse, l’idea non piace e non piacerà neanche domani. Ma così è. Il mondo cambia e ci siamo dentro. Interamente.

Lura (voce), António Vieira (pianoforte, percussioni e cori), Aurélio Santos (chitarra e cori), Guillaume Singer (violino, percussioni e cori), Edevaldo Figuereido (basso e cori), Carlos Paris (batteria e cori) e Paulino Nunes De Pina (percussioni e cori)
Locorotondo (BA), Piazza Convertini
Locus Festival 2007

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)

sabato 14 luglio 2007

Curve nella memoria

«Un Uomo» è uno scrigno, un condensato sonoro, un riassunto di trent’anni. E di un artista. Di un artista vero e verace. E anche abbastanza incazzato: un tempo, almeno. Quando le parole, più di oggi, significavano qualcosa e anche di più. Quando la parola era la parola: forma e contenuto, veicolo di idee da sperimentare, diffondere, affrontare. Incazzato, sì. E, talvolta, persino scomodo: perché pensare è scomodo. Qualche tempo fa, almeno: quando la canzone cantautorale, più di oggi, era poesia di strada, verbo, specchio del disagio, coscienza popolare. Quando la gente non sprecava le parole, provando a pensare. Pur sapendo che, molto spesso, pensare è sconsigliato. «Un Uomo» è il testimone del viaggio musicale di Eugenio Finardi, milanese testardo ed affabile, un tempo discretamente rockettaro: molto più di altre firme pregiate della canzone italiana. Quella di qualità, per intenderci. E oggi cinquantacinquenne brizzolato e acquietato: se non intellettualmente (non lo crediamo, infatti), almeno nelle movenze, nell’atteggiamento. E, comunque, palesemente intrappolato da quella malinconia che si arrampica, implacabile. E che, in fondo, addolcisce, smussa, affina. Di più: «Un Uomo» è una vera e propria collana discografica (quattro cd, per la cronaca), profonda e approfondita, che racconta una sessantina di passaggi tra i più rappresentativi della carriera del cantautore, attorno ai quali – però – gravitano anche undici brani inediti. Un’antologia o quasi. E, probabilmente, uno spartiacque tra passato e presente. Ovvero, un album multiplo che l’Italia sta conoscendo con «Un Uomo Tour», passato anche per il Salento. Dove Finardi ha consumato il concerto più ricettivo della Notte Bianca 2007 di Melpignano, sul palco sistemato affianco alla sagoma barocca (e ormai celebratissima, grazie alla Notte della Taranta) del Convento degli Agostiniani, sempre più location di tendenza. In una situazione che, peraltro, ha avvicinato note di diversa estrazione e teatro, animazione e letteratura. Concerto «di canzoni nude e crude, come ce le suoniamo tra di noi»: il vecchio ragazzo è di ottimo umore e il colloquio con la platea è assolutamente confidenziale. Non c’è band: solo voce e chitarra, con l’apporto continuo del pianoforte di Alberto Tafuri. Lo charme garbato fa atmosfera, senza caricarla. I toni rimangono morbidi, inalterabili. Anche il live parte da lontano, dagli albori, dagli anni settanta. Da “Voglio” e “Patrizia”, toccando titoli riveriti come “Dolce Italia”, “La Forza dell’Amore”, “Diesel”, “Stellina”, “La Radio” e, ovviamente, “Musica Ribelle”, il secondo e ultimo bis. Puntando, in un paio di momenti, sul blues più puro, che è poi l’origine musicale di Finardi (bella la versione di “Holy Land”). In tutto, settanta minuti: non tantissimi, ma ben strutturati, con semplicità. Del resto, la notte avanza e altre arti (altrove, tra Piazza San Giorgio e il centro storico) reclamano spazio e attenzione. Avanza come avanza il tempo: che certifica l’imbocco della curva della memoria, quella porzione di tragitto che non risparmia neppure Finardi, cinquantacinquenne ancora rampante, ma assai più languido. E professionista sensibile e serio: come, non troppo tempo addietro, dimostrò anche a Mola, esibendosi ugualmente, a poche ore di distanza da un fastidioso collasso pomeridiano. C’era la band, allora: ma la verve era già più gentile, misurata. Sembrava semplicemente un orientamento prudente e temporaneo, dettato dalle circostanze. E, invece, non avevamo captato che la curva della memoria era lì, pronta ad essere percorsa. Con eleganza naturale, con trasparenza. E senza dispiacere, in fondo.

Eugenio Finardi (voce e chitarra) & Alberto Tafuri (pianoforte)
Melpignano (LE), Piazzale del Convento degli Agostiniani
Passeggiando Sotto la Luna – Notte Bianca 2007

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)

Poesia di terra e sudore

Non solo Finardi. La Notte Bianca è infinita. Anche a Melpignano. Che non vuole (e, supponiamo, non può) dimenticare il suo dna, la sua anima popolare, il proprio orgoglio salentino, le sue tradizioni, il suo patrimonio griko, la sua storia, la sua musica. Il motivo stesso per cui il suo nome, da un po', ha saputo svincolarsi dalle ombre dell'incognito, accedendo nei salotti buoni della considerazione e nella lista delle destinazioni turistiche dell'estate pugliese. Malgrado gli orizzonti, scanditi dalla sete di spettacolo e da una manifestazione che non può trincerarsi - ma, anzi, deve concedersi - siano costretti ad aprirsi, dilatarsi. Come è giusto che sia. Però, il cuore della Grecìa Salentina batte ancora forte. E questo spicchio di Salento pretende che batta ancora forte, per sempre. Perciò, sul palcoscenico, la "musica noscia" si ritaglia il suo abbondante spazio, anche se la Notte della Taranta è ancora lontana un mese o poco più: sfuggendo, tuttavia, al cliché più classico. E impregnando la serata con un progetto dai contorni originali. Non solo per la scenografia di supporto (le animazioni che danzano sul dorso del Convento degli Agostiniani, la teatralizzazione di qualche passaggio musicale), ma - soprattutto - per i contenuti (talvolta picareschi, talvolta sofisticati) dell'intero spettacolo e per l'ambizione (dichiarata) di rapportarsi al repertorio. L'idea di «Canti, Cunti e Migrazioni», lavoro pensato e coordinato da Antonio Castrignanò, calimerese istrionico e menestrello di stampo antico, rievoca il gusto delle feste di piazza e, contemporaneamente, accosta la musica popolare ad una teatralità accentuata. Diramandosi, peraltro, in due direzioni, parallele e convergenti. La proposta è una riutilizzazione di brani già radicati nel territorio e tramandati oralmente (del resto, sarebbe impossibile comportarsi altrimenti), riarrangiati però nel rispetto della melodia originale. E, subito dopo, la creazione di un vero e proprio modello salentino, appoggiato sulla fortificazione della tradizione. Traducendo, attraverso la composizione di testi e musiche assolutamente originali, che tuttavia non stravolgano i concetti basilari e le fondamenta di queste sonorità. Cioè: ben venga la novità, ma recintata da paletti precisi. Nonostante, aggiungiamo noi, la presenza di strumenti di natura non propriamente popolare come il pianoforte (affidato a Marco Della Gatta) e alla batteria di Antonio Marra. Al di là delle intenzioni, comunque, dalla piazza di Melpignano esce un live vario e fresco, gravido di colori, suoni e - persino - magia. Dentro, poi, c'è il Salento di sempre: il Salento dei trainieri, delle ninna nanne, dei canti alla stira (quelli, cioè, realizzati senza l'apporto di strumenti: voce e basta), dei canti di lavoro, della nostalgia. E c'è tempo anche per uno sconfinamento nel Gargano, così come per un omaggio a Matteo Salvatore. Antonio Castrignanò (alla voce, al tamburello e alle percussioni, oltre che alla composizione) punta sull'effetto sonoro, sulla voce e la vocalizzazione. Arte, questa, vivacizzata dalle doti di Ninfa Giannuzzi, presenza adeguata e sostanziale. La musica si infonde con misura, come un frutto di un lavoro di cesello. Musica che, assicura Castrignanò, è «poesia di terra e sudore». Parole che la gente del Salento conosce e apprezza. Annuendo convinta, prima che arrivi Finardi.

Antonio Castrignanò (voce, tamburello e percussioni), Ninfa Giannuzzi (voce e violino), Marco Della Gatta (pianoforte), Francesco Congedo (contrabbasso), Rocco Nigro (fisarmonica), Valerio Daniele (chitarre), Antonio Marra (batteria) in concerto. Guest Luigi Chiriatti (tamburello e cori)
Melpignano (LE), piazzale antistante il Convento degli Agostiniani
Passeggiando Sotto la Luna - Notte Bianca 2007

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)