mercoledì 26 settembre 2007

Dischi - Coloriade (Pasquale Mega Ensemble)

L’avevamo incontrato ed era emozionato, sinceramente emozionato. Annunciando il disco ormai ultimato, prima della pubblicazione. E l’abbiamo incrociato anche dopo, a lavoro già commercializzato: sempre emozionato, trasparentemente emozionato. Pasquale Mega è un musicista che non vi vive di musica, perché della musica non ha fatto una professione, ma solo una passione. Inconfutabile, duratura, forte, forse anche viscerale. Ma che anche per la musica vive. Dispensando, da anni, sprazzi di pianismo curato, vagamente colto, ma non didascalico e neppure elitario. Suonando quando c’è la possibilità e, soprattutto, quando emergono le condizioni: per interpretare un repertorio asciutto, nell’ambiente ideale, con le atmosfere adatte. E non solo per il gusto di apparire o di dimostrare di appartenere al panorama jazzistico pugliese. Preferendo i progetti o, meglio ancora, la progettualità: che va al di là della serata, dell’appuntamento, della presenza in una rassegna. E, ovviamente, al di là del cachet: che non può ingolosirlo e che, infatti, non lo ingolosisce. Proprio perché la sua musica non è un impegno, ma un piacevolissimo diversivo. Quella progettualità, del resto, sempre rimbalzata nei cartelloni di «Antiphonae», contenitore jazzistico di ormai solida tradizione che – detto per inciso – è una sua intuizione e una sua scommessa. Il suo disco è “Coloriade”, raccolta di otto pezzi collezionati al fianco di amici veri come i Vertere, quartetto d’archi made in Puglia, il contrabbassista martinese Camillo Pace, il batterista altamurano Antonio Dambrosio (del cui ensemble lo stesso Mega fa parte) e, infine, il trombettista romagnolo Marco Tamburini e il sassofonista Javier Girotto, due guest ciclicamente chiamati ad esibirsi a queste latitudini e puntualmente coinvolti dai jazzisti di casa nostra. Otto tracce dal sound pulito e dai toni marcati, pieni, ben assemblati. Oseremmo dire ricercati, senza tuttavia rinunciare al gusto della fruibilità. Otto occasioni di fare musica per un asolto attento, chiaramente nobilitate dalla presenza ingombrante (nel senso migliore del termine) di Girotto, che impartisce all’album delle venature precise e, per chi lo conosce e apprezza, inconfondibili. E, infine, otto modi di ritrovare Pasquale Mega alla direzione di un’idea accarezzata nel tempo, ipotizzata da tanto. E sgorgata con pazienza, senza affrettare i tempi. Un cd, peraltro, sostenuto e distribuito da «Dodicilune», su cui tocca evidentemente ripetersi: l’etichetta leccese, infatti, continua a offrire spazio agli artisti pugliesi che possiedono talento e freschezza interpretativa, avvicinandoli alla produzione di musicisti ormai riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Assicurando, oltretutto, un prodotto esteticamente godibile, sin dal confezionamento (le copertine in cartone sono sempre curatissime: anche questo conta). “Coloriade” è un prodotto rifinito, dotato di personalità propria. Non complesso e neppure ostico, ma sicuramente indirizzato ad appassionati sensibili e anche discretamente esigenti. Del quale Pasquale Mega, nelle note di copertina, racconta le origini: «Da tempo avevo in mente di registrare alcuni dei miei brani utilizzando una formazione abbastanza insolita nel jazz: mi piaceva infatti l’idea di un connubio tra il classico quintetto jazz (sax, tromba, pianoforte, contrabbasso, batteria) ed il classico quartetto d’archi (…) Avrei voluto che il quartetto d’archi non fungesse solo da supporto (…), bensì fosse parte integrante del progetto (…)». Un prodotto, infine, transitato attraverso la perizia musicale e l’esperienza maturata da Luigi Giannatempo, arrangiatore cerignolano cui è stato affidato un passaggio fonndamentale («Le sue idee coincidevano perfettamente con le mie – fa sapere ancora Mega - ed inoltre i brani erano molto in sintonia con il suo mondo musicale». Garanzia di un cammino comune e proficuo. E di un disco al quale il suo líder maximo si è sentito strettamente legato, da sùbito, ancor prima di entrare nello studio di registrazione. Di questo siamo testimoni. Come di quel pudore serio e genuino che ha fortificato l’attesa di Pasquale Mega. Un pudore che - di questi tempi, santificati al concetto di supponenza dilagante - sconvolge un poco. Ma che non disturba affatto.

Coloriade (Dodicilune, 2007)
Pasquale Mega Ensemble (Pasquale Mega: pianoforte; Javier Girotto: sax soprano e sax baritono; Marco Tamburini: tromba e flicorno; Camillo Pace: contrabbasso; Antonio Dambrosio: batteria; Giuseppe Amatulli: violino; Ida Ninni: violino; Domenico Mastro: viola; Giovanna Buccarella: violoncello)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

giovedì 13 settembre 2007

La voce delle donne

Un palcoscenico in accentuata penombra, un microfono. Una voce, una chitarra. Una donna. Lucilla Galeazzi canta la sua musica, che è un po’ la musica dell’Italia intera. L’Italia popolare di sempre, l’Italia trasversale e viscerale, sofferente e profonda, nascosta e sconosciuta. L’Italia dei quattro punti cardinali, delle campagne e delle risaie, della periferia e delle fabbriche. Quella che non passa dalle televisioni e dalle radio, dai canali istituzionali e da quelli commerciali. Lucilla Galeazzi è una donna. Sola, con la sua chitarra. E con la sua voce. Quella voce che è sintesi della voce e del pensiero di tanti. Senza volto. Una voce che persegue la lunga strada che parte dagli albori del novecento per solcare gli anni difficili della guerra, del dopoguerra e dell’indusrializzazione. Voce che arriva fluida alla contemporaneità di questi giorni: satura, modulata, gravida di emozioni, pregna di sensazioni. L’artista ternana è un’intuizione felice dell’Associazione “Terrae”, che ha voluto e preparato la rassegna “Domine – Tre al Femminile”, sponsorizzata dalla Regione Puglia e dall’amministrazione comunale di Gioia del Colle e presentata nello stesso centro della Terra di Bari, al Teatro “Rossini”. Felice malgrado la concomitanza ingombrante (e presumibilmente vincolante, considerata l’inadeguata affluenza di pubblico) con la diretta via etere della performance dell’Italia di Donadoni in Ucraina. Felice per il viaggio che porta in dote: viaggio nella penisola, senza rotta precisa, inseguendo il vento dei ricordi, le parole o, forse, l’istinto. Braccando le storie, il passato scomodo, i volti. Soprattutto i volti. «La musica popolare, diceva il mio maestro, non è fatta di note, ma di facce. Ed è un modo di intendere la vita e la comunicazione», certifica lei. E, così, il viaggio parte dalla Valnerina, nelle contrade di Norcia: proprio dove, anni addietro, cominciò il suo lavoro di ricerca, continua, assidua, attenta. Nei poderi, direttamente dalle fonti dei braccianti, nelle case. Ricerca mirata: dei motivi da tradurre in canzoni, ma – soprattutto – dei cantori, dei narratori. E proseguita, più tardi, tra le mondine o gli operai. Senza dimenticare di rielaborare i racconti di una guerra ormai lontana, ma ancora culturalmente vicina. Badando all’essenzialità nella melodia. Leggendo. E ascoltando (e riascoltando) testimonianze in vinile del patrimonio popolare. Poi, dalla Valnerina alla Toscana, la terra dei rispetti, vere e proprie forme poetiche. La Toscana di “Maremma”, artisticamente battuta da Caterina Aguero, un’altra donna della canzone sommersa di un’Italia infinita. Come Rosa Baldassarri, o Giovanna Daffini: dalle quali Lucilla Galeazzi si fa accompagnare, consigliare, indirizzare. Sul filo di una tensione che, però, non assale. E, dalla Toscana, si approda in Sicilia e, immediatamente dopo, si risale l’Appennino, toccando l’Emilia. La voce è duttile. Ed è una voce che parla essenzialmente di donne e del loro mondo, indissolubilmente legato agli accadimenti sociali di un Paese in evoluzione. Partendo dalle donne e dalla loro angolazione. Donne come Giovanna Marini. «Che mi ha insegnato tanto: ad esempio, il rispetto per questa musica e la capacità di reinventare un canto o una melodia». Dall’Emilia, allora, si navigano le acque basse delle risaie padane: la versione delle mondine di “Bella Ciao” è lenta e plastica, avvolgente. Ma Lucilla è anche autrice: “Voglio una Casa” è una storia popolare senza radici nel passato, ma con l’eredità genetica della tradizione. E produzione propria è anche un disco recente come «Amore e Acciaio», direttamente ispiratole da Terni, la sua città. Che è poi la terra di San Valentino e, al contempo, uno dei poli siderurgici italiani. E’ tempo, intanto, di tornare ad esplorare i sentieri del sud, entrando in Calabria (con un testo e una musica attinta dal repertorio di Ambrogio Sparagna) e, quindi, in Campania (è l’omaggio a Roberto de Simone). Ma il viaggio deve consumarsi: e lo fa nella vivacità del salterello («il cugino della tarantella, ritmo proprio di quelle zone che, storicamente, non fecero parte del Regno delle Due Sicile, rimanendo affrancate al potere del Papa»), ancora eseguito nelle regioni centrali di un’Italia che, talvolta, riesce persino a non dimenticare il proprio retroterra storico e culturale. Scansando il palco generalista delle televisioni e infilandosi tra la gente, nelle piazze, nei borghi storici, oppure nei teatri. Tre universi da cui - ostinatamente, orgogliosamente – qualcuno riparte. Ripercorrendo gli indizi della memoria.

Lucilla Galeazzi (voce e chitarra) in “Mi Do Arie”
Gioia del Colle (BA), Teatro “Rossini”
Domina – Tre al Femminile

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 1 settembre 2007

Sulla strada del turismo musicale

Se la vita è arte dell'incontro, forse la musica può essere considerata un incontro dentro le linee dell'arte. Almeno a Matera, in fondo ad un'estate meteorologicamente bollente e culturalmente abbastanza generosa: e, comunque, più che in altre occasioni, ci è parso di intuire. Un incontro attraversato da prove tecniche di turismo alternativo, dall'idea meravigliosa di un progetto duttile e, perciò, ulteriormente integrabile. E sostenuto dalla note itineranti del jazz. Un incontro che è poi la festa dell'Onyx, cioè una sintesi di live dislocati in diversi angoli del Sasso Barisano e del Sasso Caveoso, ma anche della Civita, ovvero del borgo storico della città lucana, di percorsi turistico-sonori, di intuizioni anche sufficientemente ardite per non sfuggire alla curiosità (il concerto all'alba, per esempio) e di degustazioni. Altrove, un'operazione come questa si chiamerebbe turismo musicale. Del quale, esplicitamente, magari non si parla. Ma che - di fatto - esiste: incidendo (positivamente) sull'economia locale. Pensate ad Umbria Jazz e alle attività stimolate dalla kermesse. E pensate ai pacchetti-vacanza collegati alle note dei Giardini del Frontone o del Teatro Morlacchi. Alle comitive che raggiungono Perugia con viaggi organizzati, da ogni angolo d'Italia. Ma prendiamo atto che, anche alle nostre latitudini, si cominci a pensare, ipotizzare, organizzare in questa direzione: e ne prendiamo atto con simpatia. Tributando della considerazione che merita il lavoro dell'Associazione Onyx e del suo promotore Luigi Esposito: che, di "Gezziamoci 2007 - La Via del Jazz", è ispiratore convinto. In attesa di essere anche estremamente convincente nei colloqui futuri con gli enti locali: che, peraltro, sembrano aver cautamente appoggiato l'evento. E che, però, dovranno fornire nuove risposte, fortemente concrete: quelle che servono a replicare la programmazione, a rafforzare l'impegno, a creare la continuità. Ovvero, i segreti dell'affermazione. "La Via del Jazz" è una proposta di fine estate inglobata nella consueta programazione, spalmata nelle quattro stagioni dell'anno, di "Gezziamoci". Dentro, c'è il fascino antico (forse, anche rivalutato) delle band itineranti (quattro, una per ogni giorno della rassegna: dall'Olivoil Jazz Band alla Jazz Moments, dalla Fanfara Populara alla Matera Street Parade), un fascino recentemente distribuito, dalle nostre parti, pure dal "Jazz Summer Festival" di Capurso. E c'è, poi, la soluzione "concerto più visita turistica in bus", attraverso alcuni dei luoghi più caratteristici di Matera (e, chi la conosce davvero, sa che sono diversi). E c'è, dicevamo, la magia delle note al sorgere del sole del quartetto di sassofoni Sax Four Fun, di fronte al suggestivo panorama delle chiese rupestri, appena oltre i confini urbani. Ma non mancano neppure i progetti originali, come "Fuori Fase", generato da Felice Mezzina e dall'Ensemble dell'Onyx appositamente per la quattrogiorni tra i Sassi. Oppure, gli ospiti che assicurano affluenza: come Mirko Guerrini (e il suo "Cirko", che praticamente chiude la manifestazione) e il più stagionato Lino Patruno, ancora motivatissimo conduttore di un viaggio immaginario negli albori del jazz, tra gli spartiti di Joe Venuti e Salvatore Massaro, di Louis Armstrong e Django Reinhardt, di Lang e Grapelli. Volti e situazioni sapientemente miscelati tra larghi, piazzette discrete, chiostri e testimonianze rupestri di indubbia suggestione, come il semplice eppure affascinante prospetto della Chiesa della Madonna de' Idris. La particolarità dell'idea, tuttavia, si ramifica nei dettagli: perchè i momenti musicali eseguiti dal vivo (non meno di tre per serata, ovviamente sincronizzati, alcuni presentati dopo la mezzanotte) sono parte integrante di diversi circuiti turistici che abbracciano l'intero bagaglio artistico e culturale di Matera. Ai quali si accede seguendo la banda itinerante, trait d'union sonoro dal pomeriggio alla sera inoltrata, dotata di un banditore e anche di una guida che si preoccupa di spiegare la storia di ogni singolo sito toccato dal percorso. Il resto, infine, lo fa la musica sparsa dal 30 agosto al 2 settembre: quella sicuramente meno jazzistica dei Têtes de Bois e quella manouche dei Les Manuages; quella più contemporanea dei Mas Que Nada, dei Jail-Break e dei Couleur Musique e quella ambiziosa dei Machine des Sons e del Quintetto Introverso; quella di largo respiro della Big Band del Conservatorio "Duni" di Matera e quella più tradizionale del Larry Franco Quartet e, appunto, di Patruno & His Blue Four. La musica che può (e deve) catturare, invogliare, canalizzare: per aprire nuovi orizzonti. Senza il sospetto di apparire (o sentirsi) svilita, utilizzata. Sembra arrivato il momento di provarci. Seriamente. E non solo a Matera.

Olivoil Jazz Band (Giuliano Di Cesare: tromba; Giuseppe Mucciaccia: clarinetto; Carlo De Toma: banjo; Michele Di Stasio: basso tuba; Saverio Pepe: banditore) in concerto itinerante
Fuori Fase (Felice Mezzina: sax tenore e direzione; Tommaso Capitolo: sax alto; Angelo Manicone: sax tenore; Emilio Tritto: sax baritono; Edoardo Cilla: sax alto; Michele Munno: sax alto, sax soprano e sax tenore; Michele Cappiello: sax tenore; Gianni Caputo: percussioni)
Les Managues (Umberto Viggiano: chitarra; Vincenzo Cristallo: chitarra; Giuseppe Venezia: contrabbasso) in “La Musica degli Zingari”
Lino Patruno (chitarra) & His Blue Four (Mauro Carpi: violino; Giacomo Bertuglia: contrabbasso; Michael Supnick: voce, trombone, cornetta e alto horn; Clive Riche: voce) ; guest Attilio Troiano (voce e sassofono)
Mas Que Nada (Michele Cappiello: sax tenore; Tommaso Capitolo: sax contralto; Renato Zaccagnino: chitarra; Daniele Quercia: contrabbasso; Giovanni Caputo: batteria)
Matera, varie location
Gezziamoci 2007 - La Via del Jazz

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)