martedì 20 novembre 2007

Dischi - Come le Parole (Enzo Granella)

«E’ un disco un po’ pop, un po’ soul, un po’ rock. Cantautorale? Ma sì, se vogliamo è anche quello». Enzo Granella parla di «Come le Parole», il suo ultimo album, autoprodotto, assemblato e confezionato l’estate appena trascorsa e infine presentato anche al pubblico tarantino all’interno dello spazio vendite della Bottega Cochicho, caposaldo jonico del commercio equo e solidale. «Sono undici tracce – fa sapere l’autore – nate in maniera spontanea, che segnano una discontinuità con il passato. Diciamo che volevo svincolarmi da quel filone musicale che mi aveva sempre contraddistinto negli anni precedenti, che poi è quello etnico». Territorio, peraltro, a lungo navigato dal chitarrista tarantino, da tempo stabilitosi a Bari: prima con un ensemble che rievoca discrete nostalgie come i Maranjapoint e, successivamente, con i Radicanto, formazione che recentemente ha modificato il proprio percorso artistico e anche la propria line-up. Oppure, con i Kiltartan, un gruppo vicino alle sonorità celtiche.«Ho cercato di esprimermi liberamente, senza soffermarmi sulle esigenze del mercato discografico, dedicandomi specificatamente alla composizione dei testi: particolare, per me, sufficientemente nuovo, dal momento che, prima di adesso, mi ero limitato a delle stesure dialettali e, ovviamente, alla parte squisitamente musicale. Le sensazioni? Ritengo che “Come le Parole” si discosti nettamente dalle atmosfere etniche, basandosi su un vissuto personale e sulla leggerezza del messaggio. Malgrado mi sia sforzato di applicarmi su temi anche profondi. La matrice sonora, però, si avvicina al rock». Non quello duro, intendiamoci. Ma quello d’autore, appunto. Giusto per chiarire. Il chitarrista jonico propone argomenti di pubblica quotidianità: tra una nota e l’altra, condivisa con Alessandro Pipino (tastierista dei Radiodervish), il batterista ruvese Daniele Abbinante, il piano elettrico di Raffaele Stellacci e il flauto di Massimo La Zazzera, il disco parla dei sogni consumati in provincia, davanti al mare, di equivoci, immoralità, di libertà, di ideali e stati d’animo, ma anche dei discriminati e dei più deboli. Senze patine aggressive, senza parole eccessivamente ruvide o partorite per stupire o, peggio, per attirare l’attenzione. Quelle stesse parole che il corso di sociolinguistica dell’Università degli Studi di Bari ha preso in prestito per esaminarle: niente male, per chi è praticamente un esordiente, da questo punto di vista. Le parole che sono poi le fondamenta del brano che porta il titolo dell’intero album, impreziosito dalla presenza dei Diomira Invisible Ensemble (Vittorio Gallo al sassofono, Adolfo La Volpe alla chitarra elettrica, Pierpaolo Marino al basso e il già citato Daniele Abbinante).E, se il singolo “Pecore e Lupi” può essere definito una favola moderna, “Nazzica e Scazzica” è una canzone che incuriosisce particolarmente, anche per il suo lessico profondamente bimare (“Mi nazzico il bambino che c’ho dentro/ E s’addormenta/ Dorme e sogna / Cammina e rusce nel sonno/ Ma svela i segreti più nascosti/ Nel mio profondo/ Ma poi si sveglia e scazzica/ Non lo puoi più fermare nella danza/ E skama e zompa, gli scazzica la fame/ Di occhi, bocche e pane”). «Scriverla – continua Enzo Granella – è stato un divertimento, innanzi tutto. E solo i miei conterranei possono captare sino in fondo il senso di certe frasi». Attorno ad una voce matura, intanto, il tessuto sonoro resta di agile ascolto, mentre scorrono le parole. Come quelle di “Fuori”, l’ultima traccia: “Tu lo sai quanto dura un minuto/ Quanto a lungo so essere felice/ Tu lo sai quanto dura un minuto/ Cosa c’è nel mezzo, tra felicità e tormento”.

Come le Parole (autoprodotto, 2007)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 17 novembre 2007

Dischi - La Foule (Lisa Manosperti)

Ogni disco è un viaggio. Dentro la musica, dentro i suoi umori, i suoi colori. Dentro un progetto, all'interno di un tessuto di trame sonore. E il viaggio di ciascun artista è parellelo e convergente a quello di altri ancora: perché ognuno custodice angolazione, sensibilità, postura, tecnica e filosofia musicale proprie. «La Foule», l'ultimo disco firmato dalla voce di Lisa Manosperti per l'etichetta «Dodicilune», nel circuito commerciale da settembre, è anch'esso un viaggio. Ed è un viaggio ardito: con la sua filosofia e la sua postura, con la propria sensibilità. "Un voyage dans les lieux d'Edith Piaf", cioè un viaggio per i luoghi di Edith Piaf. Cioè di un'icona assoluta. Cioè, un percorso (periglioso, ammettiamolo) nelle maglie del passato, negli anfratti più suggestivi della musica d'autore francese, nell'opera acclamatissima di una personalità complessa e fascinosa che ha marchiato indelebilmente un'epoca. Undici tracce, alcune ampiamente conosciute (non poteva mancare "La Vie en Rose", ma ci sono anche "Les Feuilles Mortes", L'Accordéoniste", "Ne Me Quitte Pas" e "La Foule", che offre lo spunto per il titolo dell'intero album), undici interpetrazioni condivise con musicisti pugliesi (Davide Santorsola, Roberto Ottaviano, Felice Mezzina, Francesco Lomangino, Gaetano Partipilo e Nicola Pisani): è la Piaf di Lisa, è un tributo di buon gusto, ma anche gravido di personalità propria. Spieghiamo: la Manosperti non è la Piaf e, sicuramente, non ha la presunzione di esserlo. Eppure, riesce a creare ugualmente tanta atmosfera, senza autocondannarsi - per questo - a rincorrere il mito e quell'alone di maledettismo storicamente impregnato nel percorso musicale (e nella vita privata) dell'artista parigina. Eppure, il disco viaggia speditamente sui binari di una lucidità che scolpisce tutti i brani, ponderatamente arrangiati (da Santorsola e dalla stessa vocalist) e fortemente spruzzati di jazz, un jazz sempre presente e pregnante.L'interpretazione di Lisa piace perché appassionata. Più appassionata che aggressiva. E più avvolgente che tagliente. Ovvero, più melodica che frenetica. Più tenera, che tesa. Il viaggio è strutturato e il lavoro musicale che lo sorregge è evidente. E l'omaggio è privo di ovvietà, di decisioni scontate, di passaggi prevedibili: la perizia dei protagonisti del disco, ci pare, si pesa proprio qui. Perché il pericolo di impantanarsi, in una sequenza di cover (particolarmente prestigiose, oltre tutto), è sempre grande. Chi naviga i sentieri musicali lo sa. E chi non lo sa troverà facile immaginarlo. Ascoltando "La Foule", quella folla che - racconta Lisa nelle note di copertina - è un momento di solitudine. Cioè un'immagine, un'emozione, una condizione. La solitudine di una voce che s'insinua tra gli strumenti e il loro suono. E il suono è netto, solido.

La Foule - Voyage dans les Lieux d'Edith Piaf (Dodicilune, 2007)
Lisa Manosperti (voce), Davide Santorsola (pianoforte), Roberto Ottaviano (sax soprano), Francesco Lomangino (sax tenore e flauto), Felice Mezzina (sax tenore), Gaetano Partipilo (sax alto) & Nicola Pisani (sax baritono)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

lunedì 12 novembre 2007

Fiorella Tropicale

Il Brasile incanta. Ma fa anche tendenza, da qualche anno. Praticarlo, cioè, è una moda assai comoda, spontanea: dopo decenni di isolamento culturale. E mediatico. Non che adesso la gente, soprattutto in Italia, possieda un quadro chiaro sul Paese, la sua filosofia e la sua musica: anzi, le facili convinzioni che circondavano (e, spesso, stritolavano) quella terra al di là dell’Oceano si agitano ancora. Sminute, forse, dalla crescente informazione che caratterizza questi tempi difficili: ma ancora ben radicate, ben presenti. Il Brasile, ora, monta persino gli indici dell’audience. E, contemporaneamente e involontariamente, continua a provocare danni: pensate a quanta mediocrità musicale si avvicini alle sue sponde, pensando di confezionare un prodotto interessante. Impalcando, appunto, le proprie convinzioni sui luoghi comuni e sulla superficialità. Distruggendo la sua lingua e il suo bagaglio di fragranze, umori, sapori. Il Brasile chiama e attira. Non solo i mediocri, però. Del resto, si è lasciata attirare dal suo sinuoso richiamo, già in un passato transitato con la semplice pubblicità di nicchia e con il supporto delle traduzioni di Ivano Fossati, anche una signora della canzone italiana di qualità come Fiorella Mannoia. Che, da professionista attenta e da artista sensibile, ha raccolto la proposta, dignificandola però di attenzione e, soprattutto, di rispetto. E avvicinatasi ad un universo così composito con deferenza e umiltà. L’umiltà degli intelligenti: che, poi, sono i migliori. La Mannoia, ma ormai lo sanno in tanti, da gennaio gira per l’Italia diffondendo le note di “Onda Tropicale”, disco (da cui nasce il tour) che rilegge, riarrangia e – ovviamente – traduce in italiano alcuni classici e meno classici della musica popolare brasiliana. Esperienza nata da una passione assorbita progressivamente e da una forte attrazione, che l’interprete romana giudica particolarmente positiva: sotto il profilo umano (ha duettato, in sala di registrazione e anche dal vivo, con Chico Buarque de Hollanda, Lenine, Milton Nascimento, Chico César, Gilberto Gil, Caetano Veloso, Adriana Calcanhotto, Carlinhos Brown) e sotto l’angolazione professionale: tanto da consigliarne una seconda tappa, ovvero un secondo album di canzoni tratte dal repertorio della MPB, già ben avviato e prossimo alla pubblicazione. Operazione duplice che completa e amplia il primo approdo verso certe sonorità: e non potremmo dimenticare la fortunatissima (e sfruttatissima, da parte di molti autori, anche jazzisti) versione di "O Que Será", di Chico Buarque, sviluppata negli anni novanta. “Onda Tropicale” è un lavoro che ha estremamente stimolato Fiorella. Portandola diverse volte anche in Puglia, ad intervalli più o meno regolari: ricorderemo le tappe invernali e primaverili (a memoria: Bari, Lecce, Brindisi), alle quali si aggiungono gli impegni di agosto (Cannole, Barletta e, appunto, Ostuni). E imprimendole un atteggiamento che ci è sembrato più diretto, più immediato, forse anche meno affettato del solito. Più informale e persino più sciolta: ecco la Mannoia filobrasiliana, in ossequio alla terra che ha voluto omaggiare e, soprattutto, alla fantasia e alla giovialità del popolo che la rappresenta. Informale anche dentro il paio di jeans che sostituiscono il tradizionale abito scuro. E, ovviamente, nei passi di danza, ammiccati con frequenza. All’interno di una scaletta che, per evidenti motivi, ha integrato il repertorio brasiliano (insufficiente a coprire le due ore e un quarto di spettacolo) con qualche successo del passato (“Quello Che le Donne Non Dicono”, “Il Tempo Non Torna Più”, “Il Cielo d’Irlanda”, “L’Amore Con l’Amore Si Paga”, “I Treni a Vapore”, “Non Sono un Cantautore”) e con tributi sparsi (a Paolo Conte, con «la freschissima e colorata» “Messico e Nuvole”; a Sergio Endrigo, con “Io Che Amo Solo Te”; a Iavano Fossati, con “Panama” e “Belle Speranze”; e a Capossela, con “Che Cos’è l’Amor”). Una scaletta, peraltro, ben strutturata e abile a collegare temi e situazioni, autori e contesti storici e culturali diversi. E così, partendo da “Cravo e Canela” del mineiro Milton Nascimento, uno dei compositori brasiliani più geniali, e da “13 di Maggio”, versione mutuata dal repertorio di Caetano Veloso (che, in sintesi, racconta dell’abolizione della schiavitù in Brasile, datata 1888), sembra quasi naturale passare allo spartito di “Caterina”, brano italianissimo che, racconta la Mannoia, parla di un tipo di schiavitù più subdola, celata dietro altre cause. La voce, poi, riattraversa l’atlantico per intonare “Senza Paura”, traduzione di Sergio Bardotti di un vecchio testo di Vinícius de Moraes (“Sem Medo”), già utilizzato negli anni ottanta da Ornella Vanoni: che – per inciso – non fa parte di “Onda Tropicale”. E, immediatamente, si torna in Italia: tra le altre, è accorata l’interpretazione della fossatiana “C’è Tempo”, brano relativamente recente («Quando l’ho ascoltato per la prima volta, sapevo già che l’avrei cantato», ammette lei stessa) e molto energica appare la personalizzazione di “Dio E’ Morto”, canzone griffata Guccini che «ha quarant’anni, ma è ancora attualissima». Gli arrangiamenti sono calibratissimi, mai banali. Il sèguito, cioè la band, è di comprovata affidabilità. E, allora, si può sbarcare ancora in Sudamerica, provando a esprimersi (correttamente) in portoghese, con “Mama Africa” di Chico César, la consumatissima “Mas Que Nada” di Jorge Ben e l’altrettanta inflazionata “Sina” di Djavan (fa niente: qualche scelta è scontata, ma lo spessore artistico della Mannoia azzera ogni dubbio). E, infine, ci piace sottolineare la delicata performance di “Canzoni e Momenti”, tratta dall’opera di Milton Nascimento, uno dei momenti più intensi dell’intero concerto, vagamente imballato alla partenza, ma decollato (e poi esploso) abbastanza presto. Perché condito da voce, buon senso, concetti dosati e alta professionalità. Che, ancora una volta, riconosciamo ad un’artista pregiata, sicura di sé, affascinante. Con gratitudine.

Fiorella Mannoia (voce), Julian Mazzariello (piano), Marco Brioschi (tromba e flicorno), Bruno Giordana (fisarmonica e sassofono), Diego Borotti (sassofono e flauti), Massimo Fumanti (chitarre), Dario Deidda (basso), Elio Rivagli (batteria), Carlo Di Francesco (percussioni), Emanuela Gramaglia (cori) & Cristina Montanari (cori)
Ostuni (BR), Nuovo Foro Boario

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

domenica 11 novembre 2007

L'Otello tra le Gnostre

Va bene, ci sono le castagne. Calde, arrostite. E le noci. E poi le zuppe, gli involtini, il cinghiale e quanto una sagra - ben definita e molto ben divulgata - sa offrire. Novello compreso, ovviamente. Perché è quello che si festeggia a Noci, nel tradizionale appuntamento di «Bacco nelle Gnostre», tra vicoli e piazze del borgo antico. Va davvero tutto bene, ma serve anche il programma musicale di supporto. Ecco, allora, diverse location e differenti indirizzi sonori. E, tra le varie proposte, s'inserisce l'intervento di un amico antico, di un cantore fiero, di un ambasciatore di storie di ordinaria quotidianità meridionale: Otello Profazio da Rende, Calabria centrale, sud profondissimo, mastru cantaturi ancora fortemente motivato. E testimone di quella letteratura popolare che, a settantatre anni anni (ben trasportati), continua a ricercare nella provincia lontana e a proporre. Non rinunciando - è notizia fresca - a collaborazioni nuove, come quella appena saldata con un gruppo emergente di queste terre, la Banda Wagliò di Alberobello. Profazio - sia chiaro, però - è quello di sempre: dissacrante, ironico, sferzante, incisivo, tagliente. Governa il palco con l'autorevolezza dei saggi e la spavalderia dei più navigati. E intrattiene il pubblico verbosamente, tra gli accordi della chitarra e il retroterra che si spalanca dietro ogni canzone, ogni ballata. E' il Profazio paradossale di "Qua Si Campa d'Aria", singolo di un disco storico che ha venduto un milione di copie e forse anche di più, qualche tempo fa. Ed è il Profazio di "Filo di Seta", album recente di racconti piccanti, attinti qua e là, a costo di non poche fatiche e di richieste pressanti, direttamente alle fonti, scavalcando il pudore popolare delle donne di una volta. Ma attorno, è scontato, si agitano i canti del sud, di tutti i sud: della Puglia e della Lucania, dell'Abruzzo e della Calabria, delle Madonie e, perché no, dello spoletino, che proprio sud non è. Ma fa lo stesso. Dove il massimo comun divisore è la vita ardua, la terra amara, le piccole ricchezze: come l'asino (no, meglio: il ciuccio), più prezioso di una moglie o di un padre. La cui perdita è lutto vero, un lutto più stretto. Dove la cultura contadina è mito ed è realtà. E la realtà di oggi è quella di ieri. Basta ripercorrere brani datati, del primo dopoguerra: quando i più umili maledicevano le tasse e il governo. Ora il nemico possiede un nome più fine e si chiama pressione fiscale, eppure non è cambiato niente. Profazio è la passione e l'immediatezza di sempre. La busta di plastica che si trascina è un pozzo di dischi da passare in rassegna. C'è anche quello confezionato con le poesie di Ignazio Buttitta. Al suo fianco, due partner pugliesi: Davide Torrente al tamburello e Germano della Banda Wagliò alla fisarmonica. Il bicchiere (novello, sì) si svuota discreto. Proprio mentre transitano le ombre dei maestri del passato. Il concerto è soprattutto per loro, un tributo naturale. A chi ha edificato la storia della canzone popolare italiana, a chi ha attraversato il Paese tramandandone spicchi di tradizione, a chi ha contribuito a disegnare un'epoca. A chi non c'è più. «Rosa Balestreri è morta. Maria Carta è morta. Matteo Salvatore, il più grande, è morto. E io non mi sento tanto bene».

Otello Profazio (voce e chitarra), Davide Torrente (tamburello) & Germano della Banda Wagliò (fisarmonica)
Noci (BA), Piazza Garibaldi
Bacco nelle Gnostre 2007

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 10 novembre 2007

Dischi - Two in One (Larry Franco)

Fedele alla linea, alla sua passione di crooner, al suo jazz quasi dimenticato – diciamo anche stagionato, non è un’infamia -, così fortemente anni cinquanta. E anche qualcosa in meno. Con il suo bagaglio di compostezza, che sa di garbo e di tempi distanti. Fedele alla strada tracciata, che non ha mai abbandonato. E che, ne siamo certi, non tradirà mai. Perché quel jazz datato, quelle note di Natalino Otto o Gorni Kramer, quel jazz italiano del dopoguerra, quegli standard made in Usa e quelle trame dixie sono il suo mondo, la sua palestra, il suo modo di sentire (e fare) musica. Eseguita puntualmente in patria (è tra i musicisti di casa nostra che produce più live, dentro e fuori la Puglia) e anche oltre i confini nazionali (Cuba, Romania, Marocco, Australia, Dubai: e dimentichiamo qualche altra mèta più o meno recente).Larry Franco è un pianista e una voce che ha ritagliato, negli anni, un proprio spazio. Coltivandolo attentamente, anche con spirito manageriale: curando i contatti, promuovendo capillarmente i propri progetti: e, quindi, sponsorizzando se stesso e il gruppo che lo segue assiduamente (il contrabbassista Ilario de Marinis, il batterista Enzo Lanzo, il sassofonista Michele Carrabba, il banjoista Renzo Bagorda). Incidendo, anche. Anzi, facendolo spesso. E sì, perché Lorenzo Franco detto Larry, tarantino di Fragagnano, corre spesso in sala di incisione. Persino più di una volta all’anno. E l’ha fatto anche ultimamente. L’ennesimo disco a suo nome, peraltro, è appena stato confezionato (viene distribuito proprio in questi giorni), si chiama «Two in One» e vanta l’etichetta Philology Jazz. Le dodici tracce posseggono una particolarità: possono essere considerate ventiquattro. E questo perché ogni passaggio mistura e sviluppa due spartiti diversi, che Franco interpreta con la sola voce, senza dedicarsi allo strumento. Voce accompagnata, sempre e soltanto, dal piano. Di alcuni amici, ma – soprattutto – artisti di solida militanza e riconosciuta classe: come Dado Moroni (presente in “These Foolish Thing” e “Portrait of Jenny” e in “You’d Be So Nice to Come Home to” e “In Cerca di Te”), Franco D’Andrea (in “East of the Sun and West of the Moon” e “Merci Beaucop” e in “Wild Waves” e “Do You Know What it Means to Miss New Orleans”), Nico Morelli (in “Sweet Georgia Brown” e “Non Sparate sul Pianista” e in “”My One and Only Love” e “le Tue Mani”), Renato Sellani (in “Donna” e My Foolish Heart” e in “Goodbay” e “Arrivederci”), Antonello Vannucchi (in “I’m Confessin I Love You” e “In un Vecchio Palco della Scala” e in “In a Sentimental Mood” e “Colpevole”), Eddy Olivieri, musicista tarantino stabilitosi a Los Angeles (“But Not for Me” e “Resta cu ‘Mme”) e, infine, Giorgio Cuscito (“Oh Lady Be Good” e “Marilù”). Ricapitolando, sette duetti, per cinquantasette minuti e mezzo di piano elegy, come lo stesso Larry Franco marchia l’intero lavoro, registrato tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 tra i due Mari e Roma, Bari e Milano e, infine, missato al Ciao Studio di Taranto. Dove, tra una tounée e la direzione artistica di alcune rassegne pugliesi, il crooner ama trovare nuove soluzioni discografiche. Fedeli alla linea, ci mancherebbe.

Two in One (Philology Jazz, 2007)
Larry Franco (voce), con Dado Moroni (pianoforte), Franco D’Andrea (pianoforte), Nico Morelli (pianoforte), Renato Sellani (pianoforte), Antonello Vannucchi (pianoforte), Edy Oliveri (pianoforte), Giorgio Cuscito (pianoforte)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)