mercoledì 23 gennaio 2008

Dischi - En Plein Air (Fabularasa)

Il primo album, spesso, traccia un percorso e incoraggia l'artista. Questa volta, però, sintetizza il viaggio già intrapreso, rappresentandolo. Diventando un'operazione di raccolta di brani distribuiti nel tempo e già metabolizzati: da chi li ha scritti e interpretati per qualche tempo e anche da chi li ha ascoltati. Rigorosamente dal vivo: perché le parole e la musica dei Fabularasa, quartetto maturato un po' di anni addietro a Bari, possevano sin qui un pubblico persino fedele e uno spazio garantino nel club della musica d'autore, ma non testimonianze ufficiali e biglietti da visita. Come, a volte, solo i dischi sanno essere. Anche perché le semplici incursioni in lavori discografici interessanti, ma più generalisti (ricordiamo «Musicultura», produzione dell'omonima kermesse maceratese, «Espagna» e «Voci per la Libertà») non possono coprire per intero il desiderio di esprimersi. Nel tragitto artistico della formazione, dunque, mancava qualcosa. E, allora, Luca Basso, paroliere e voce della formazione, il chitarrista Vito Ottolino, il batterista Giuseppe Berlen e il bassista Poldo Sebastiani hanno avvertito l'esigenza di colmare il vuoto. Confezionando «En Plein Air», un prodotto di undici tracce più o meno datate: quelle che raccontano il progetto e le emozioni che lo hanno partorito. O che il progetto ha alimentato nei primi anni di questo millennio. La produzione discografica, affidata a "Radar", catalogo di un'etichetta pregiata come l'Egea, e scandita da una presentazione ufficiale recentemente avviata (a Perugia nello scorso mese di novembre e, successivamente, a Mola e proprio a Bari, prima di dirottare verso Capurso e Fragagnano) si avvale peraltro di collaborazioni prestigiose: da Paul McCandless (al sax soprano, all'oboe, al flauto e al corno inglese) a Bruno De Filippi (armonica), dall'algerino Abbes Boufrioua (voce e percussioni) a Nicola Stilo (al flauto). Che si assommano a quel laboratorio artigianale di suoni, musiche e versi che, dal duemilaquattro, genera canzoni schiette e levantine, corsive e corsare, generate tra il jazz e i suoni mediterranei, secondo quanto rivelano gli stessi Fabularasa. Laboratorio, per intenderci, già esibitosi anche al Festival della Canzone d'Autore di Recanati 2005, con il singolo "Fiorile", dedicato alla ricorrenza del 25 aprile e ovviamente inserito in n Plein Air» assieme all'elegante "Una Giornata Serena", ambientata nel giorno della distruzione dell'ecomostro di Punta Perotti («Cosa mi fai/ Cosa mi fa bella sirena/ Che socchiudi gli occhi mentre mi sorridi?/ E' una carezza la fantasia/ E' audace il gioco della fortuna / In questa magnifica giornata serena»), a "Il Campo di Girasoli", "Al Safar" (storia di ordinaria immigrazione), "Allende" (Premio Amnesty 2004), "Case Portoghesi", "Lontano Amore", "Diario di un Seduttore", "Vecchio Frac", Giovanni, Telegrafista" e, infine, a "Dolenda Carthago" (brano, quest'ultimo, scritto dal leader della formazione Luca Basso e dallo scrittore Stefano Di Lauro). Tra storie di sapore quotidiano e buone frequentazioni msuicali, «En Plein Air» si è solidificato nel tempo, giorno dopo giorno, senza rincorrere la data della sua pubblicazione e, quindi, senza rincorrere se stesso. Attingendo, nei tre anni di attesa, come si fa nelle migliori famiglie musicali, dalle esperienze adottate da ciascun componente: in ambito jazzistico e cantautorale, ma anche in quello sconfinato della world music. E proponendoci atmosfere a volte delicate, spunti sobri, versi scanditi da vasti orizzonti e anche pensieri ricercati. E, infine, contribuendo attivamente alla riscoperta della canzone d'autore: un impegno che, in riva all'Adriatico, sembra diventato costante, ancorchè apprezzato. Non è mai troppo tardi per ritrovare le parole giuste.

En Plein Air (Egea, 2007)
Fabularasa (Luca Basso: voce; Vito Ottolino: chitarra; Poldo sebastiani: basso e contrabbasso; Giuseppe Berlen: batteria), con la partecipazione di Paul McCandless (sax soprano, oboe, flauto etnico e corno inglese), Bruno De Filippi (armonica), Nicola Stilo (flauto) e Abbes Boufrioua (voce e percussioni)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 12 gennaio 2008

L'impronta netta di Irio de Paula

Dal Manuja al Ramblas. Dalle note di notte romane all'evento di gennaio del club tarantino. Sembra che il tempo sia passato lento. E, invece, sono scivolati trent'anni e anche qualcosa di più. Tutti spesi abbracciando una chitarra avvolta negli accordi della bossa nova e dei suoi immediati dintorni: dallo choro al baião. Tutti consumati nelle atmosfere di un Paese sospeso tra ricordi e magia, quel Brasile lasciato nel millenovecentosettantatre e sempre troppo distante. Tutti collezionati a rincorrere ingaggi e concerti, luoghi e situazioni. Irio De Paula è in Italia quasi da sempre, ma trasporta ancora la delicatezza della sua terra. E della sua musica, radicata e immutata. Come è immutata la trasparenza del suo talento e quella tecnica che avvolge e che ancora sconvolge chi non lo conosce.Irio, oggi, è un anziano signore che si perde con nonchalance tra le finezze acustiche del suo strumento. E' schivo e riservato come una volta, ma è lo stesso virtuoso che ricordavamo. Sì, forse il tempo si è fermato. Oppure è passato troppo lento. Ma quelle sonorità un po' datate del violão sono ancora vive, fresche. E anche se il repertorio proposto non attinge alla fonte della novità (il pubblico italiano ha l'irrefrenabile bisogno di riparare sotto il tetto dei motivi più navigati, più conosciuti e l'artista non può ignorare il dato), il chitarrista fluminense si fa amare ugualmente: per la sua leggerezza. E per l'impronta netta, il valore dei dettagli, l'esecuzione pulita. In Brasile, ormai, il nome di Irio De Paula dice abbastanza poco: tre decenni vissuti oltre oceano condannano all'oblio. Ma, in Italia, l'etichetta è ancora di pregio molto più che discreto: che il mulatto di Rio non dimentica mai di lucidare. Con concerti rigorosi e sapidi.Al Ramblas, De Paula si concede nella situazione che preferiamo. Quella più pura: chitarra e microfono. Anche se, gli appassionati più attenti lo ricorderanno, ultimamente ha spesso duettato con il giovane trombettista torinese Fabrizio Bosso, esibendosi anche in compagnia di Stefano Rossini e Giorgio Fontana (parliamo del progetto "Sambajazz", transitato nel 2004 anche da Martina Franca). Questa volta, peraltro, non usa neppure la voce: e, dalla scaletta, ad esempio, scompare un pezzo distribuito - in passato - sempre molto volentieri come «Rosa Morena». Ci sono, tuttavia le immortali «Ponteio» di Edu Lobo e "Odeon" di Ernesto Nazareth, «Canto de Ossanha», una versione molto personalizzata di «Asa Branca» di Luís Gonzaga, la jobiniana «Luíza», la buarquiana «Atrás da Porta», l'antica «A Baixa do Sapateiro» di Ary Barroso, l'intramontabile «Manhã de Carnaval» di Bonfá, «Menino Desce Daí» (un brano di Paulinho Nogueira che non gode di larga diffusione, a queste latitudini) e, come accennavamo, ripetuti omaggi alla musica brasiliana più nota in Italia («Tristeza», «Garota de Ipanema», «Aquarela do Brasil», «O Que Será» e «Wave»). Sopravvivono, piuttosto (e ci piace sottolinearlo), l'abitudine di impossessarsi delle note altrui e di centrifugarle in un tappeto sonoro molto personale e, a volte, dichiaratamente confidenziale; quel gusto di divagare attorno al tema centrale, puntualmente ripagato con ricami e arabeschi, attinti dal bagaglio dell'antica e premiata scuola della bossa nova. E, ovviamente, sostenuti fortemente dalla sua propria abilità. Quella che ci spinge, ogni volta, a tornare ad ascoltarlo, appene se ne presenta l'occasione. Quella che continua a scolpire la meraviglia in chi, Irio De Paula, l'ha solo sentito nominare o lo conosce appena. E che, immediatamente dopo, si lascia catturare da una chitarra suadente e dal profumo del suo Brasile lontano, vicino, antico ed attuale. Perché la qualità non è mai un'opinione.

Irio De Paula (chitarra)

Taranto, Ramblas Musiclub

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)