martedì 26 febbraio 2008

Dischi - Do It! (Berardi Jazz Connection)

Il progetto prosegue, si amplia. La Berardi Connection riabbraccia il sentiero discografico. La seconda pietra miliare del suo percorso è «Do It!», album licenziato dall’etichetta romana Antibes nello scorso dicembre. E, se la prima produzione («The Way I Like») del duo tarantino (Ettore Carucci al pianoforte, alla tastiera e al fender rhodes e Francesco Lomagistro alla batteria) si avvaleva dell’amichevole presenza di diversi artisti pugliesi (da Guido Di Leone ad Andrea Sabatino, da Paola Arnesano a Marco Bardoscia, da Giuseppe Bassi a Cristian Lisi), puntando sulla commistione delle atmosfere jazzistiche con quelle più latine, la seconda esperienza si affida all’apporto, in sala di registrazione, del bassista Aldo Vigorito, dei sassofonisti Max Ionata e Vincenzo Presta, del chitarrista barese Alberto Parmegiani, del percussionista Cesare Pastanella e della vocalist statunitense Wendy Lewis (eccola, da Chicago, in una rivisitazione di “Change”, dei Tears for Fears). Ma anche della confermata tromba di Sabatino e dell’interpretazione vocale della già citrata Paola Arnesano, protagonista di due delle dodici tracce complessive ("O Prazer de Ser" e "Lies" sono, peraltro, due brani di sua composizione). Dilatando, oltre tutto, il proprio orizzonte.«La caratteristica di “Do It!” – spiega Francesco Lomagistro – è, infatti, quella libertà di espressione e quell’assenza di ogni tipo di preclusione stilistica, nel rispetto dello stile che caratterizza il sound dei Berardi Jazz Connection». Un sound metropolitano sempre fresco, che non dimentica di voltarsi indietro, ma che guarda dichiaratamente avanti. Senza inventare nulla, ci mancherebbe, ma distribuendo momenti di buona musica (anzi, di buon nu jazz, oggi si dice così) e dettagli di groove pulsante. E, allora, si può transitare dal ritmo frizzante – un po’ latin, un po’ swing – di “Last Night a Cat Stopped Me”, scritta dal batterista jonico, che apre l’album, a quello più moderno di “F.D.P.” e alle sonorità più intime di “Le Sere” e “The Renegade”. “Play Kid”, poi, è una produzione personale di Ettore Carucci, mentre Lomagistro firma anche “Friendly” e “To Brian”, un omaggio a Brian Blade, esponente del nuovo batterismo jazz internazionale. “Relax”, invece, è una composizione del salentino Vincenzo Presta (che si occupa anche degli arrangiamenti dei fiati) e, infine, “The Jody Grind” è una cover tratta dal repertorio di Horace Silver.

Do It! (Antibemusic, 2007)
Berardi Jazz Connection

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

lunedì 18 febbraio 2008

Il violino che scavalca il tempo

L'interpretazione intensa, il ritmo serrato, il guizzo. C'è un violino che taglia trasversalmente la scena e la musica, il palco e il repertorio. Che si rincorre, incalza, che frena e riparte, che detta i tempi e si accoda e irrompe ancora. Libero e avido. Tenace e leggero. C'è la grazia e la forza, dentro. E il piacere denso di condizionare l'ascolto. C'è un violino protagonista e c'è un violinista sanguigno e partenopeo. Lino Cannavacciuolo è personaggio di temperamento e mestiere. Replicato anche al Teatro Orfeo di Taranto, per il sedicesimo cartellone dell'Orchestra della Magna Grecia. E, di fronte, appare per un po' la voce ufficiale di Sardegna, Elena Ledda, timbro e passato da soprano ed esperienza consumata nell'alveo del folk e della musica popolare dei cantadores, frequentatrice antica delle piazze del Logudoro, guest dalla presenza scenica e caratteriale. Il sodalizio, in realtà, è datato, già amalgamatosi in «Amargura», album del 2005 che traffica tra i meandri tradizionali di Napoli e quelli di Gallura e dintorni: e, quindi collaudato, rodato, saldo, verace, viscerale. La finestra sull'isola della Ledda, seppur breve, è incisiva, robusta. E' un lampo, un topazio. E il suo contributo è ricco, saturo di atmosfere, di un'espressività fascinosa: anche quando la musica non l'accompagna, lasciando al palcoscenico solo alla voce. Attorno, poi, c'è un gruppo di musicisti animati da istinti un po' ancestrali, viaggiatori tra note che arrivano da lontano e che scavalcano il tempo. L'ensemble di Lino Cannavacciuolo inventa un programma arioso e fantasioso, delicato e sapido, febbrile e dolce, scandito dall'arroganza tecnica del suo leader, tra sentimento e melodia. L'apporto dell'elettronica non disturba, ma aggira solo gli schemi predefiniti. E un'ora e tre quarti di concerto, bis compreso, è un dato di quantità che non scalfisce né la qualità, né l'ampio respiro del repertorio, che ammara infine nella tarantella montemaranese, sùbito prima che cali il sipario. Tra la partecipazione discreta di un pubblico abituato a esibizione più classiche e più compassate.

Lino Cannavacciuolo Ensemble & Elena Ledda (voce)
Taranto, Teatro Orfeo
Stagione Concertistica dell'Orchestra Ico della Magna Grecia di Taranto

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

lunedì 11 febbraio 2008

Dischi - Filo Spinato (Max Marangione)

La quotidianità dei numeri e il diletto dei versi tra le note. Massimo Marangione detto Max insegna matematica: scienza schematica e ingabbiata che non inventa nulla, che non dedica tributi alla fantasia. E, nelle ore più o meno liete, compone: districandosi tra parole e spartiti. Proprio lì dove la fantasia può svicolare e, se vuole, scardinare gli schemi, dribblare, posarsi, rialzarsi, schizzare. Produrre emozioni. O solleticare pensieri. Il cantautore tarantino sembra uno strano incrocio di desideri (la vita parallela) ed esigenze (la vita reale). Legittimato da «Filo Spinato», cd autoprodotto alla fine dello scorso anno e pensato con la collaborazione di Marco de Bartolomeo, responsabile della cura e degli arrangiamenti del disco: realizzato in riva a Mar Piccolo, presso il Master Recording Studio. «Il progetto scaturisce dalla passione viscerale per la musica, ma è anche il prodotto degli stati d'animo e dei disagi più intimi», ammette Marangione. «E il rock, da questo punto di vista, sembra essere terapeutico». Le prime registrazioni dell'album, tuttavia, non sono recenti: grazie alle quali, peraltro, il musicista jonico ha potuto coprire alcuni spazi nella programmazione di Radiouno. Provvedendo, poi, a confezionare anche un videoclip (interamente girato nella zona industriale del capoluogo bimare) proposto da Rainews 24. Passando, oltre tutto, pure attraverso la colonna sonora di un cortometraggio. «"Filo Spinato" si inquadra nel genere rock d'auore - aggiunge Marangione - . I caratteri fondamentali sono l'immediatezza e l'emotività che hanno contribuito a generare il lavoro. E il filo spinato è un'immagine che riassume il mestiere della vita: a volte duro, a volte più leggero. Ma da vivere, sempre e comunque». I brani acustici come "Filo Spinato" («Voglio resettare tutto/ Ogni ricordo, l'acqua che scotta/ L'educazione, i sensi di colpa») e quelli più rockeggianti come "Prendere o Lasciare" («Non bussare alla porta se questo è il momento/ Aprila adesso e adesso che va/ Tempo al tempo, non c'è distorsione, niente religione, mezze verità/ Prendi il treno in corsa, prova l'ultima scossa/ Chi non cede crede che qualcosa sarà») si accavallano a tracce ermetiche come "Linea di Confine" («Mi porto dietro da troppo tempo/ Pensieri che non vanno via/ A furia di dire e di pensare dei sogni non so più che fare/ Troppi discorsi su quello che siamo/ Ci portano troppo lontano/ Tracciare una linea su questo orizzonte/ Che poi dove porta non so») o dal testo ruvido come "Ridatemi il Mio Nome" («Salto nel buio giù/ Nevrotico confuso/ Voglio sentire, voglio vivere e capire perché/ Quello che vedo è confusione, ipocrita reazione/ Ma voglio farmi male, voglio accelerare»). Dove lo accompagnano il basso di Ivano Corvaglia, la chitarra di Nico Albanese e la batteria di Gianpiero Tripaldi, naviganti ormai esperti del panorama live tarantino. Le nove canzoni assieme, va detto, rappresentano la prima esperienza discografica di Max Marangione. Che non rinuncia ad una forte matrice pop e neppure al sostegno dell'elettronica, sempre accarezzando temi di assoluta contemporaneità e una strisciante diffidenza nei confronti della complessità che ci circonda e avvolge, giorno dopo giorno. Mescolando rabbia («Chiamami come ti pare/ Spregevole o normale») e speranza («Prendimi per mano e portami con te/ Sarà banale, ma io non ti trovo più/ Fammi vedere quello che non so/ Almeno un istante, quello che non so/ Non riesco a capire più di quello che sai»). Attraversando i ricordi scomodi e le asperità di un percorso («Guardami e poi cancellami/ Ricordami, ricordami/ Vedi luce intorno adesso/ Guardami e poi cancellami»). Con la sostanza dei verbi, dei sostantivi e degli aggettivi. Che sanno essere taglienti e, talvolta, glaciali. Come un'espressione algebrica. Come un'equazione: che cerca un risultato.

Filo Spinato (autoprodotto, 2007)

Max Marangione

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

giovedì 7 febbraio 2008

Dischi - Bossa na Minha casa (Guido Di Leone 4tet)

Guido Di Leone è un vecchio amico del Brasile. Inseguito (e riproposto) con la chitarra nelle notti di note e nelle atmosfere di un disco. Di tre dischi: quelli condivisi con Paola Arnesaano e Mario Rosini («Abrasileirado») o, qualche tempo più avanti, con la stessa vocalist e il percussionista Enzo Falco (è il progetto "Trio De Janeiro") e con il gruppo allargato di Paola Arnesano («Falando de Jobim»). Tre registrazioni, quelle, eseguite in uno studio: come qualsiasi altra, del resto. Ma i tempi si evolvono e la tecnologia avanza. Anzi, emigra. In casa propria, magari. E sì, perché il quarto tributo alle sonorità oroverdi del chitarrista barese si compie (e si realizza) tra le pareti del suo domicilio, in una stanza opportunamente preparata. Proprio come se fosse una sala di registrazione. Incensando il concetto di autoproduzione: uno dei segni distintivi di questi tempi autarchici, dove è necessario arrangiarsi per non soffrire. E uno degli ingredienti della Puglia musicale che pulsa, che fermenta sempre più. A proposito: il suo ultimo lavoro è firmato dalla Fo(ur), etichetta che lo stesso Di Leone ha inaugurato e lanciato da un paio di anni con alcuni compagni di musica, come Mino Lacirignola e Larry Franco. E, allora, l'autoproduzione è davvero totale. Come lo stesso cd («Bossa na Minha Casa», «Bossa a Casa Mia») si sforza di sottolineare: cominciando dal titolo. E passando per le foto di copertina e per le note scritte a margine: «Siamo seduti sul divano bianco dopo aver ascoltato i dischi di Baden Powell. la pasta bolle in pentola. Guido prende la sua chitarra classica e comincia a suonare qualche brano di bossa. E se provassimo a registrare con il cd recorder questo incontro tra amici? Sono le 23,30 e tutto è pronto».Le tracce sono quattordici: si va da "Samba de Verão" di Menescal (interpretata in inglese dalla voce di Francesca Leone) a "Chove Chuva" di Jorge Ben, da "Brigas Nunca Mais" della "dupla" Jobim-De Moraes alla meno ripercorse "Reza" di Edu Lobo e "Samba de Duas Notas" de Luís Bonfá, dalla più leggera "Chiclete con Banana" di Gilberto Gil alle più popolari "Bim Bom" e "Um Abraço no Bonfá" di João Gilbero, "Você e Eu" di Carlinhos Lyra, "Samba da Minha Terra" di Dorival Caymmi, "Este Seu Olhar", "Berimbau", "O Pato" e - poteva disertare? - "Garota de Ipanema". E il prodotto - come dicevamo, fortemente artigianale, nell'accezione migliore del termine - è assolutamente credibile.Pugliese è anche il resto del quartetto ritrovatosi in circostanze più o meno casuali esattamente un anno fa (ma la masterizzazione avverrà più avanti, nel novembre del 2007, così come il completamento della produzione, ad inizio di quest'anno): detto della chitarra di Guido Di Leone e di Francesca Leone (che continua a spiare le tonalità brasiliane con un'altra formazione, quella dei Marchio Bossa), ecco il contrabbassista castellanese Bepppe De Lilla e il batterista barese Fabio Delle Foglie: per l'occasione, assorbito da rullante e charleston. Intanto, «la città dorme, pioviggina, noi suoniamo, relax e saudade si diffondono per la stanza. Sono le 3,30. Forse, in studio, non avremmo registrato questi brani, forse ovvi e scontati, forse avremmo cercato a tutti i costi perfezione di suoni, dinamiche. Ma questa volta ci piace così. Ci salutiamo contenti e rilassati. Ecco "Samba na Minha Casa"».

Bossa na Minha Casa (Fo(u)r, 2008)
Guido Di Leone (chitarra), Francesca Leone (voce), Beppe De Lilla (contrabbasso), Fabio Delle Foglie (batteria)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)