venerdì 8 agosto 2008

Ligiana, una scelta di vita

Esile, esilissima. E molto brasiliana. Ligiana non arriva dalla Rio delle cartoline, né dalla São Paulo dei grattacieli e del traffico affogato. E neppure dalla Bahia del Pelourinho e di tutti i santi, o dal nordest del sertão che brucia. Ligiana è una vocalist giovane che scende da dove non ce l’aspettiamo, dalla Brasília fredda e capitale, dalla roça isolata. «Ma Brasília è una città che offre più di quanto pensiate, in Europa. Certo, non è Rio. Ma possiede un suo fermento, un proprio fervore culturale. E poi lì si cucina tanta musica», dice. Ed è vero. Soprattutto, di questi tempi. In cui emerge, anche in Italia, il carisma del mandolino di Hamilton de Holanda. «Hamilton – aggiunge Luigiana – è di Brasília, come me. Siamo praticamente coetanei. Anzi, siamo fratelli. E abbiamo studiato assieme, nella stessa facoltà universitaria. Dirò di più: proprio Hamilton mi ha trascinato nella musica popular brasileira. Sapete, io ho vissuto in Olanda. E cantavo: musica barocca, per la precisione. Ritenevo di avere la voce giusta per seguirne i percorsi. E, invece, lentamente, Hamilton mi ha convinta. Diceva che dovevo applicarmi nella MPB. Alla fine, ha avuto ragione. Ed eccomi qua. Eccomi a riproporre gli spartiti dei nostri maestri, ma anche delle composizioni originali».
Ligiana passa per due piazze pugliesi: prima Ceglie (largo Ognissati, appuntamento sponsorizzato dall’amministrazione comunale e coordinato da Antonio Esperti, musicista mesagnese sempre più assorbito dall’organizzazione di live di nicchia) e poi Saturo, marina di Leporano, dove qualche secolo fa sbarcarono gli spartani. E poi riparte: per Ascoli e, dunque, per la Francia. «Dove vivo da tre anni. Anche lì mi ha dirottata Hamilton, che l’aveva conosciuta prima di me. Aveva numerosi contatti, che mi ha affettuosamente girato. Ormai, in Francia, mi sono ambientata. Ho la possibilità di esprimermi, di cantare. Di confrontarmi. E di incidere. Il mio ultimo lavoro discografico si chiama “De Amor e Mar”, è stato appena confezionato. E poi, in Francia, coltivo tante amicizie. Anche quella di Nico Morelli, un pianista che ha saputo fondere i ritmi della pizzica con le sonorità del jazz. E’ delle voistre parti (di Crispiano, ndi), lo conoscete molto meglio di me. Con lui ci ritroviamo spesso, in un club. E ci scambiamo impressioni, sensazioni».
A Ceglie, Luigiana Costa Araújo conduce una formazione raccolta ed essenziale, ma acusticamente intrigante. Hatyla Gabriel Garcia suona il cavaquinho, chitarrino squillante che la cultura brasiliana ha adottato da quella portoghese. Boris Giraud è un chitarrista francese di estrema pulizia. E Wander Silva De Oliveira è un percussionista carioca che, con pochi strumenti, riesce a regalare una bella varietà di colori. L’interpretazione sobria, ma rotonda, vaga dallo choro al samba de roda, dal samba canção al baião. La voce è fluttuante e sa avvolgere parole e ritmi. Piace soprattutto, però, la scelta del repertorio: niente affatto banale. Anche quando vengono scomodate le cover di Toquinho e Maria Creuza, per azzardare due esempi. Alle quali Ligiana si accosta con l’umiltà tipica degli artisti brasiliani. Che è poi la chiave neppure tanto segreta del saper vivere. La simpatia naturale di questa ragazza brasiliense, poi, è assolutamente autentica, non preconfezionata. E spiega, meglio di qualsiasi altra parola, la magia della musica che, sempre più massicciamente, parte da oltre oceano. Regalando nomi illustri e volti meno noti: che, tuttavia, non deludono la platea che cerca talento e originalità. «Il Brasile – detta Ligiana – è un contenitore immenso. Basta cercare. A proposito, tra un po’, rientrerò: è parecchio che manco dal mio Paese e avverto una certa esigenza di riabbracciarlo. Ma in Italia tornerò assai presto. Magari per lanciare ufficialmente il mio album. Ma vi ho detto che ho vissuto per più di un anno anche qui? Prima alla Spezia, poi a Cremona. Studiavo canto barocco, appunto». E sì, poi arrivarono Hamilton De Holanda, un consiglio insistente, un argomento valido, qualche buon indirizzo e la scelta di vita. Una buona scelta, ci sembra.

Ligiana Costa Araújo (voce), Hatyla Gabriel Garcia (cavaquinho), Boris Giraud (chitarra) & Wander Silva De Oliveira (percussioni)
Ceglie Messapica (BR), largo Ognissanti

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

giovedì 7 agosto 2008

Il menestrello brusco

Tonino Zurlo è un menestrello un po’ naif e anche un po’ irrequieto. Ma è pure uomo di principi saldi. Quasi d’altri tempi. Come quelli che racconta. O come quelli che vorrebbe continuare a raccontare. Ed è un’anima profondamente popolare. Dagli istinti spesso eccessivi. Dalle forme talvolta sgraziate. E dalla sostanza impastata di ironia e amarezza. Parla, parla tanto. E, certe volte, straparla. Utilizzando il dialetto, il suo dialetto. Come una lama, come una spada. Donchisciottescamente. Dunque, generosamente. Non è propriamente un cantante. E, fondamentalmente, neppure un musicista: nell’accezione più usata del termine, almeno. Forse, più che altro, è un musico. Uno di quei musici persi nei meandri del tempo, della storia. Che è la nostra storia. Tonino Zurlo, piuttosto, è un cantastorie. Un cantastorie che naviga nel mare di una contemporaneità radicata nella memoria. E ancorata a certi retaggi di ieri. Con un occhio guarda al passato. E, con l’altro, al presente. Senza perdersi. E lasciandoli incrociare. Estraerndone la polpa. E centrifugandola nel caleidoscopio del suo mondo colorito e terragno. Temprato da quella cultura contadina che ha edificato la terra e le genti di Puglia.
Tonino Zurlo riporta la tradizione e poi la modella. Con quel suo vocabolario brusco e poco protocollare. Trovandosi esattamente al centro della storia della nostra canzone popolare, ma anche oltre. Con trasporto. E anche con rabbia. Perché la rabbia è l’espressione di un disagio. E il disagio, da sempre, è una forma assai popolare del vivere quotidiano. Con trasporto, rabbia e teatralità. Parla e urla, Zurlo. La sua Puglia, il suo sud, la propria idiosincrasia nei confronti di un potere che poi così astratto non è. Parla, urla e ci crede. Ci crede ancora. Pittorescamente. E le sue favole planano sul pubblico beffarde. Caoticamente, come il personaggio impone. O, forse, pretende. Rischiando spesso di parlarsi un po’ addosso. Ma la sua verve copiosa è assalutamente genuina e non c’è frode intellettuale. Anzi, nella piazza di Polignano, in occasione del live che è parte integrante dell’omaggio della locale amministrazione comunale al cinquantenario della creazione di “Volare”, il brano più conosciuto del repertorio di Mimmo Modugno e anche lo spartito italiano più famoso nel mondo, il menestrello ostunese appare persino più asciutto del solito. E meno ripetitivo. Potere, chissà, della plateagremita. Dell’appuntamento impegnativo. O di quel nome, Domenico Modugno, così ingombrante. Un nome che tutti gli artisti intervenuti nella rassegna ricordano puntualmente.
Anche Tonino ripercorre le note di Modugno (e come si fa, del resto, a sviare?) e qualche refrain puntella il suo repertorio. Prima che, sul palco, nella seconda parte della serata, salgano i quattro componenti dei Motacuntu, ensemble di chiara estrazione popolare che interviene, lo accompagna, lo surroga e si diverte. Sì, l’appuntamento è particolare e Tonino annusa la sua specificità, decodificandola e adeguandosi. Per quanto possibile, ovvio: alla fine, l’indole esplosiva sgomita e si impone in un concerto dai toni informali, dove si fondono antichi lavori e qualche testimonianza di «Nuzzole e Parole», la sua ultima incisione discografica, abbastanza recente. E dove il sud è palestra, epicentro, orgoglio, ferita, pretesto, tratto d’unione indelebile con l’opera di Modugno o con la produzione di Matteo Salvatore, al quale Tonino dedica un momento intenso. Dove il sud è partenza ed arrivo di un percorso e di un impegno ormai quarantennale. Dove voce e chitarra sanno penetrare con il sentimento: parole testuali di un menestrello che, della musica, non ha fatto professione, né fonte di reddito. Preferendo trarne emozioni. Profondamente popolari: come i cantastorie di una volta. Con tutti gli eccessi di un’arte assorbita per strada. Dalla gente, per la gente.

Tonino Zurlo (voce e chitarra) & i Motacuntu
Polignano a Mare (BA), piazza San Benedetto
Volare a Polignano a Mare

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)