sabato 27 febbraio 2010

Guinga, musica vera senza folklore


Il suo nome completo (Carlos Althier De Souza Lemos Escobar) e il suo apelido (Guinga) non smuoveranno la folla della musica, in Italia. Perché lontano è il suo ambiente naturale e lontana, da queste contrade, è soprattutto una profonda cultura musicale sudamericana. Ma il chitarrista di Madureira, in Brasile, è personalità di livello assoluto. Scalfita nelle proporzioni, magari, dall’effervescenza mediatica di un Caetano Veloso, dal lirismo infinito di un Milton Nascimento e dal cosmopolitismo intellettuale di uno Chico Buarque. Dalle voci universali di Maria Bethania, Gal Costa, Marisa Monte o Adriana Calcanhotto o dai riflussi dell’antica bossa nova, emozionalmente sopravvissuta molto più in Europa, piuttosto che oltre oceano. O dalla modernità galoppante dell’ultima generazione, più globalizzata e rockettara. Eppure, Guinga è un’altra bella storia del suo Paese e di quel macrocosmo inesauribile che è la MPB, cioè la non meglio definibile musica popolare brasiliana. Una personalità che, da queste parti, possiede tuttavia qualche estimatore: senza, peraltro, tappezzare le colonne di un giornale, quando si trova a passare per questo angolo di Europa. Come, ad esempio, nell’ultimo week-end di febbraio.
E sì, perché Guinga, col suo bagaglio di garbo e sensibilità e con il suo profilo colto, è passato per due club di Puglia, ad Acquaviva e a Ceglie. Portando, come sempre, note leggere e accordi profondi, atmosfere eleganti e composizioni raffinate. Ovvero, la musica del proprio Paese, al netto del folklore che spesso la accompagna per il mondo. Opportunamente attinta dalla propria produzione e, in qualche caso, da quella altrui (ad esempio, “Se Ela Perguntar”, di Dilermando Reis, e “O Barquinho”, di Roberto Menescal). Operazione, questa, abbastanza agevole per chi, come il compositore carioca, pur coltivando una passione solida per gli autori classici (Puccini su tutti, si affretta a sottolineare) ha vissuto - rimanendone fortemente influenzato - la seconda metà del ciclo bossanovista e l’intero periodo di eleborazione postbossanovista. Il momento storico, cioè, più complicato: per motivi squisitamente sociali, diciamo pure così. Ma, innanzi tutto, frutto saporito di una rivisitazione culturale assolutamente sorprendente, perché partorita all’interno di una dittatura a volte persino feroce. E per chi, come Guinga, è passando per le maglie di un’espressione artistica che ha movimentato idee e prodotto opinione. Accostandosi, dettaglio essenziale, ad un esercito di figure forti della musica brasiliana: con alcune delle quali, del resto, ha anche collaborato corposamente (il già citato Buarque, Alaíde Costa, Aldir Blanc: tre nomi per tutti).
In Italia, comunque, Guinga ci torna spesso. E, assicura, anche volentieri. E non solo per esibirsi. Quasi sempre scortato da ottimi interpreti di casa nostra (Gabriele Mirabassi, prima degli altri) dichiaratamente coinvolti da certe sonorità latinoamericane. E in Puglia, per esempio, lo ricordiamo proprio al fianco del clarinettista perugino, a Lecce. Questa volta, invece, il chitarrista si è fatto accompagnare della sua stessa voce. E da nient’altro. In un contesto, se vogliamo, più intimo. Più cantautorale. E più gravido di suggestioni, di colori. Ma, probabilmente, anche più ostico per chi attendeva bossa nova pura e motivi di successo.«La gente mi scuserà - abbozza prima del live – ma, malgrado sia brasiliano e suoni musica brasiliana, avverto il bisogno di offrire le mie cose, piuttosto che gli standard più conosciuti. Perché la mia musica mi fa bene al cuore». Fortunatamente, aggiungiamo noi. «E so perfettamente – aggiunge - che la mia musica è assolutamente nuova per molti di voi. Lo è, in realtà, anche per me: perché non passa per le frequenze della radio, neppure in Brasile».
L’esibizione al Petra Club di Ceglie, location che continua a credere anche alle proposte sganciate dalle rotte più abusate (la direzione artistica di Francesco Lomagistro, va detto, non ama perdersi nei dubbi, sfidando talvolta la certezza delle scelte più convenzionali), dura un’ora. Ma è un’ora intensa. E difficile, anche: per il brusio che molto spesso si trasforma in rumore. Non può, tuttavia, non emergere il tasso robusto di tecnica che Guinga imprime alla serata: e che, pensandoci bene, meriterebbe la discrezione di un teatro. «Ma così non è e va bene lo stesso – chiosa Guinga -. La gente vuole dialogare e la vita è una. Non mi interessa di essere un buon compositore oppure no, di essere più o meno famoso: quando suono, ho la necessità di sentirmi utile e di entrare nel cuore anche di uno o due ascoltatori soltanto». Anche questo è stile. Lo stile di saper vivere. Con umiltà. Lo stile che anima gli artisti brasiliani, da sempre. Prendere appunti, prego.

Guinga (chitarra e voce)
Ceglie Messapica (BR),
Petra Live Music

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)