venerdì 29 aprile 2011

Il pop-rock che parla delle donne


Francesca Romana Perrotta è una salentina appoggiatasi altrove, come tanti. A Cesena, per essere precisi. Dopo essere passata per Forlì. E, prima ancora, dal Conservatorio Schipa di Lecce. Il cognome, artisticamente, non lo usa più. Ma, talvolta, torna ad esibirsi a casa. E, per la seconda volta, si presenta sul palco della Saletta della Cultura di Novoli, location storica di Tele e Ragnatele, rassegna di quella produzione di nicchia che non trova ospitalità in qualsiasi canale. La ragazza ha raggiunto da un po’ di tempo un livello di maturazione assolutamente solido, consacrato dalle partecipazioni felici al Multicultura di Macerata e dal secondo album, il riuscitissimo Lo Specchio, ovviamente presentato in versione – diciamo così – ufficiale. Logica, allora, l’attesa e l’affluenza corposa al quarto appuntamento del cartellone approntato da Mario Ventura: un cartellone che, a maggio, convoglierà tra Novoli e l’Istanbul Café di Squinzano anche Luigi Mariano, i Numero 6, Giancarlo Onorato, Naif Herin ed Edoardo De Angelis.
Il cantautorato di Francesca Romana è tenero, si inserisce – come lei stessa suggerisce – nel filone pop-rock, ma si nutre di una morbida (e rassicurante) originalità dei testi. Che è, aggiungiamo noi, condizione essenziale. Niente storie ardite, alla ricerca del coup de théâtre. Niente giochi di parole, all’inseguimento dell’effetto verbale. Solo fotografie, anche raffinate, dell’universo femminile. Ecco, Francesca Romana è una donna che scrive di donne, essenzialmente. «La scelta – spiega – è precisa, del resto. Lo Specchio, il secondo cd, è lo sviluppo naturale di Vermiglio, la mia opera prima. Al quale è strettamente collegato da un unico sentiero, ovvero la femminilità e la dignità femminile». E sono donne, fragili o vessate, forti o perdute nelle pagine dei secoli, le protagoniste di situazioni diverse e di epoche differenti, che magari finiscono per incrociarsi, deragliando nella complessità dei giorni nostri. E’ donna con i suoi dolori Francesca da Rimini, figura che traspare dal tredicesimo secolo. E’ donna conquistata dai sentimenti per la fede anche Maria Maddalena. E’ donna Giovanna d’Aragona e Castiglia, regina gelosa e internata in una torre per interesse e non per pazzia, come racconta la storia scritta dai vincitori. E’ donna Salomè, che da causa di un dramma diventa vittima. Ed è donna Biancaneve, che si specchia e, invece di se stessa, trova Eva, il suo vero alter ego. Perché, cogliendo una mela rossa, si scambiano le proprie esistenze.
Francesca Romana visita la propria galleria privata dei personaggi con voce modellata, che rischia anche qualcosa. Aprendo, oltre tutto, quattro finestre su altrettanti miti del suo immaginario musicale: Battiato, Lennon, Lauzi e Battisti (e, al nome di Battisti, peraltro, è legata la sua partecipazone, nel duemiladieci, al Premio Poggiobustone, culminato con il riconoscimento quale migliore personalità artistica della manifestazione). Detto per inciso, tradizionalmente le cover detturpano un po’ il repertorio del cantautore: ma, va detto, riesce ad offrire un’impronta propria anche alle rivisitazioni, sempre e comunque. E non è dettaglio da poco. Donne e tributi. Ma anche altro: il repertorio si alimenta con “Canzone Blu”, “Canzone Verde”, “L’Estraneo” (riecco lo specchio, che riflette uno sconosciuto), “Il Demone” («è il nostro alter ego, la parte più oscura e sconosciuta di noi stessi», pezzo scritto a quattro mani con Cristiano De Andrè), un intermezzo di matrice popolare, strettamente legato al Salento («il folk – assicura Francesca – è la forma musicale più rock»), “Il Tuo Nome e il Veleno” (terzo pezzo nella lista di gradimento del Premio Musicultura 2010) e, ovviamente, con “L’Istante Che Vale”, brano che è valso l’affermazione nell’edizione duemilasette dello stesso concorso. Da dove, cioè, sembra essere definitivamente decollato il suo percorso artistico. Che, evidentemente, possiede un domani certo: le idee ci sono.

(foto Angelo Nicola Caroli)

Francesca Romana (voce, chitarra e tamburello), Massimo Marches (chitarra) & Francesco Cardelli (basso e chitarra)
Novoli (LE), Saletta della Cultura “Gregorio Vetrugno”
Tele e Ragnatele 2011

lunedì 11 aprile 2011

Note di vino


Antonio Dambrosio è un musicista che sa ampliare l’espressione della propria arte. Servendosi delle note per arrivare alla poesia. O della poesia per arricchire le note. Forse, perché il confine tra questa o quella non è così spesso come può apparire. O forse perché, tra gli spartiti e i versi, c’è più complicità di quello che potrebbe sembrare. Dambrosio, altamurano, percussionista e batterista sempre più di nicchia (è un complimento, non una limitazione), ha scelto (da un po’, del resto) la progettualità, provando a solcare sentieri meno commerciali e più profondi, divertendosi a giocare su diverse sponde di una coscienza artistica e, soprattutto, cercando di confrontarsi sulla piattaforma della commistione. E certificando, al contempo, una spiccata sensibilità per ogni specificità culturale. Qualcuno, ad esempio, ricorderà Sempre Nuova è l’Alba, il lavoro musicale edificato attorno alla produzione letteraria del lucano Rocco Scotellaro, uno dei padri – in ambito politico, ma anche poetico - della questione meridionale. Bene: adesso, Dambrosio ci riprova. Non con la questione meridionale, ma con la poesia e i versi (e la musica, ovviamente) al servizio della cultura popolare. Cioè, ad uno dei motori (troppo spesso dimenticati) di questa Puglia indossolubilmente legata al suo passato e alle proprie tradizioni. Come il vino, causa ed effetto di un legame ancestrale tra la gente di queste contrade e la terra. La sua terra. MoSto – Vino di Versi in Jazz, il progetto presentato ad Altamura, Bari, Gioia del Colle e Matera, è appunto un ponte tra musica e poesia, tra passato e presente: dove la tradizione diventa anche il pretesto (e la necessità) di cercarsi. O di ritrovarsi. Al centro c’è, è chiaro, il vino: e, con il vino, ci sono il suo travaglio, i suoi misteri, le sue storie, il suo profumo. E la sua gente. Sul palco, invece, sei strumentisti (oltre a D’Ambrosio, Nicola Pisani al sax soprano, il polistrumentista di matrice popolare Nico Berardi, il fisarmonicista Vincenzo Abbracciante, il contrabbassista calabrese Carlo Cimino, in sostituzione dell’indisponibile Camillo Pace, che fa parte del nucleo originario, e il flautista ginosino Davide Giove) e due voci recitanti: quella di Rocco Capri Chiumarulo (non nuovo ad esperienze musicali, seppur differenti nel contesto: ricordiamo, tra le altre, quelle con il Nuevo Tango Ensemble e i Tàngheri) e la divertita Maria Luisa Bigai, friulana che si divide tra Roma e Cosenza. L’ensemble, parzialmente rinnovato nei componenti e privato anche della presenza del clarinettista salentino Vincenzo Presta (tra i protagonisti, comunque, del prodotto discografico uscito recentemente), danza tra sonorità popolari e atteggiamenti vicini al jazz: ambiente da dove Dambrosio naviga solitamente. Il cliché è semplice: stralci di opere firmate da Baudealaire, Orazio, Pablo Neruda, Carducci, Eduardo De Filippo, Dickinson, ma anche sottratte dai chierici vaganti dei Carmina Burana, si alternano a nove composizioni originali dove convivono stili differenti. A volte vagamente didascalici, ma sempre bagnati d’ironia, di leggerezza. Il vino è argomento trattato con gaia serietà, con spiritoso rispetto. Che la degustazione organizzata contemporaneamente nel chiostro di Palazzo Comunale dal convegno di PD Forum sulla dieta mediterranea, probabilmente, esalta. Pur distogliendo dalla musica e dalla poesia il pubblico e i protagonisti sul palco. MoSto, tuttavia, diventa un momento di condivisione, di festa. E di meditazione, se vogliamo. Mentre i bicchieri si incrociano e si confrontano, i versi galoppano: il vino, allora, vince la partita con l’eternità, cresce come una pianta d’allegria, prepara i cuori. Senza dimenticare che chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere. Un po’ di sano barocchismo verbale, come in certe ricorrenze popolari, talvolta non stona. Anzi, aiuta ad alzare meglio i calici. E a consegnarsi alla musica con naturalezza, perché no.

Antonio Dambrosio Ensemble (Rocco Capri Chiumarolo: voce recitante; Maria Luisa Bigai: voce recitante; Antonio Dambrosio: batteria e percussioni; Nicola Pisani: sax soprano; Nico Berardi: charango e zampogna; Davide Gioia: flauto; Vincenzo Abbracciante: fisarmonica; Carlo Cimino: contrabbasso) in “MoSto”
Gioia del Colle (BA), Chiostro di Palazzo Comunale