venerdì 12 agosto 2011

Sparagna, il suono di una civiltà


Il legame con la Puglia, fa capire, è sempre molto saldo. E non potrebbe essere altrimenti. Facile, con tutto quello che è intercorso tra lui, menestrello di note inossidabili e di umori antichi, e una regione stretta tra il mare e un certo retaggio del passato, le sue tradizioni e la civiltà contadina: che pulsa ancora molto forte, malgrado l’indifferenza di tanti. Il rapporto è solido: al di là della Notte della Taranta, l’evento che ha scollinato i confini della territorialità, approdando nei circuiti più vasti (e anche più anonimi, talvolta) della world music. Quella Notte della Taranta di cui, per tre stagioni, è stato stratega, caudillo, ispiratore, coordinatore, uomo immagine, parafulmini. Dopo e prima di altri. La passione per la Puglia è intatta, fa sapere. Quasi viscerale. Non ne dubitiamo. Ed è anche per questo che Ambrogio Sparagna, pontino di Maranola, in queste contrade ci torna abbastanza spesso. E, da quel che immaginiamo, anche volentieri.
A Gioia, nel podere antistante l’antica (e premiata) Distilleria Cassano, esempio positivo (e riconvertito ad uso e consumo delle arti) di archeologia industriale, l’organettista più conosciuto della penisola in ambito popolare si è concentrato sul palco de I Suoni della Murgia, fortunata rassegna che, da tempo, si frantuma anche altrove (Gravina, Altamura, Terlizzi) e che rappresenta uno dei migliori contenitori estivi pugliesi, per longevità e qualità media delle proposte. Grazie, soprattutto, all’impegno degli Uaragniaun, storico gruppo di ricerca e di rivisitazione degli spartiti che mettono assieme tonalità terragne e consapevolezza di un’eredità culturale più densa di quanto siamo orientati a pensare. Nel penultimo degli appuntamenti in programma (prima del live conclusivo degli stessi Uaragniaun, si sono alternati anche Orchextra Terrestre, il Soffio dell’Otre di Nico Berardi, Rocco De Rosa, Sossio Banda, Jazzabanna, la Paranza di Marcello Colasurdo, Ventanas, Kalascima, Mario Salvi e Raffaele Inserra), Sparagna è arrivato con tre compagni di viaggio (Valentina Ferraiuolo alla voce e al tamburello, Cristiano Califano alla chitarra e il fondatore dei Novalia Raffaello Simeoni alla voce e ai flauti), a serata ampiamente inoltrata. Chiudendo, di fatto, una kermesse che ha voluto riunire il gusto per la sagra, per la tavola, per la produzione – non solo alimentaria – locale e per lo spettacolo più generalista (una selezione di concorrenti di Miss Italia).
Il concerto è stringato nei tempi (un’ora più il bis), ma intenso. Vive di un bagaglio proprio, senza entrare in casa di altri, cioè senza replicare stucchevolmente cose già viste e sentite. Ovvero, senza la presunzione di aggraziarsi la platea con incursioni facili nel patrimonio musicale locale. Mantenendosi nei binari della canzone popolare d’autore, con un taglio sobrio e concreto. E accortocciandosi a quei punti di riferimento che l’artista laziale ritiene imprescindibili: «La mia musica parla di storia e tradizioni secolari. E chi vive in Puglia sa quanto queste tradizioni siano fortemente legate alla cultura contadina: peraltro, lo stesso il Festival della Taranta che ho avuto l’onore e il piacere di accompagnare da vicino, fa proprio di questa cultura contadina il suo perno e il centro della propria produzione. Io e il mio gruppo cantiamo le radici. E le radici sono il canto che ci riporta indietro nel tempo. Radici forti, come quella dell’ulivo, che è un simbolo della vostra terra. E siamo qui a cantare nonostante il disordine che ci circonda. Cercando un mondo più sereno dove, magari, la musica possa creare quel senso di comunione e armonia di cui avvertiamo l’esigenza». Anche l’utopia, del resto, è un sentimento profondamente popolare.

Ambrogio Sparagna (voce e organetti), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburello), Raffaello Simeoni (voce e flauti) & Cristiano Califano (chitarra)
Gioia del Colle (BA), ex Distilleria Cassano
I Suoni della Murgia 2011

martedì 2 agosto 2011

Paula Morelenbaum e quella bossa di sempre


L’ultima volta passò dal Jazle di Lecce, otto anni addietro. Accompagnando Paulo e Daniel, discendenti diretti della dinastia Jobim. Ma Paula Morelenbaum, in Puglia, alla fine ci è tornata: questa volta da band leader, a Conversano, in una piazza Battisti decisamente popolata. Portandosi dietro il suo gruppo, che peraltro non riesce mai ad impossessarsi pienamente del palcoscenico: il misuratissimo David Milman al piano e alla tastiera, Lancaster Lopes al basso e Rick De La Torre, un gaúcho dal nome spagnolo, alla batteria. E costituendo, al pari della voce nera di Mario Biondi, la proposta più suggestiva dell’intera estate conversanese. La vocalist carioca, primo ospite della rassegna Autori (targata per il terzo anno di seguito dall’associazione Insolisuoni) e di A Corte d'Estate, il contenitore coordinato dall’amministrazione comunale, è anche la chiave che apre una trilogia dal tema “Il Samba Balla col Tango“ (prossimamente, il palco sarà affidato prima a Carlot-ta e poi alle note sudamericane di Mangalavite e Girotto e alla verve recitativa di Peppe Servillo). Ma resta, soprattutto, un nome di rilievo assoluto nel proprio Paese: se non altro, per aver interpretato e accompagnato per diverso tempo Tom Jobim.
Regina Paula Martins, quarantanovenne, meglio conosciuta con il cognome ereditato dal marito Jacques Morelenbaum, uno dei monumenti della musica brasiliana degli ultimi vent’anni (il violoncellista ha interagito con gente come Buarque, Veloso e Sakamoto e gode di stima incondizionata, nell’ambiente) arriva in Italia per presentare Telecoteco, il suo ultimo lavoro discografico che si muove tra samba-canção e funky, scolpito da testi molto leggeri e da atmosfere decisamente lounge, ben diverse dal calore della bossa che, poi, le ha regalato in passato visibilità e popolarità. L’approccio al concerto, del resto, sembra cavalcare il momento musicale che sta animando il Brasile, ultimamente assai attratto da arrangiamenti un po’ freddi e anche dalla corsa alla rivisitazione di vecchi successi (è il caso di "O Samba e o Tango", un motivo lanciato da Carmen Miranda prima della metà del secolo scorso e recentemente riscoperto da Caestano Veloso, oppure di "Tomara", un testo che Vinicius De Moraes lasciò cantare a Marília Medalha negli anni settanta, oppure di un samba enredo degli anni quaranta). Ben presto, però, il live scivola su binari più morbidi e classici, ma anche in un repertorio che cerca ostinatamente consensi, vantando più facilità di comprensione e digestione.
Così, una versione senza troppa identità di "Manhã de Carnaval" precede la più convincente e raffinata "Tarde em Itapoã" e una sequenza di brani ("Águas de Março", "Você e Eu", "Mas Que Nada", "Canto de Ossanha", "O Nosso Amor", "Ela E’ Carioca", "Água de Beber") francamente didascalici. Detto tra noi, ci saremmo aspettati qualcosa in più, cioè qualcosa di diverso, di meno prevedibile, di meno ovvio. Non il solito compitino, ecco. Magari, altri titoli come le meno sfruttate "Samba de Orly" e "Luar e Madrugada", una composizione del giovane Jobim. Così come ci saremmo aspettati una Morelenbaum più coinvolgente e più coinvolta. Diremmo, quasi, più convinta. O, se preferite, più penetrante. Ma tant’è: alla gente basta e avanza, come testimonia la soddisfazione in platea. Avranno ragione loro, evidentemente. Anche se, a noi, resta un senso vago di incompiutezza, di delusione. Ma anche la reatà di un’esibizione che sembra appositamente confezionata per il pubblico italiano. O, peggio ancora, per un pubblico un po’ distratto, che si accontenta di una scaletta ricca di luoghi comuni.

Paula Morelenbaum (voce), David Milman (pianoforte e tastiera), Lancaster Lopes (basso) & Rick De La Torre (batteria)
Conversano (BA), piazza Cesare Battisti
Autori – A Corte d’Estate 2011

lunedì 1 agosto 2011

Fusioni, colori, fantasia


«Il mio immaginario è fatto di suoni, figure e colori che si fondono in atmosfere e ambienti fantasiosi, creando un sound elettro-acustico coinvolgente e intenso e che vive di contemporaneità». Marco Tamburini e la sua ultima creazione, Contemporaneo Immaginario. Il trombettista romagnolo riassume, in poche righe di copertina, l’idea e il lavoro maturati da due distinte formazioni musicali nel corso di una concertazione ponderosa e, probabilmente, anche viscerale. Da cui, proprio a giugno, è venuto fuori un album dalle tonalità moderne e, in alcuni casi, persino aggressive. Licenziato, per la cronaca, da Note Sonanti, l’etichetta martinese di fresca costituzione voluta da Pasquale Mega, alla sua seconda pubblicazione.
Contemporaneo Immaginario, distributo da Egea, è l’unione di due universi paralleli che, alla fine, convergono: quello della band di Tamburini (la Trhee Lower Colours: con lui, Stefano Onorati al pianoforte e Stefano Paolini alla batteria) e quello del più cameristico Vertere, quartetto d’archi pugliese. Sotto il segno dell’elettronica, che timbra decisamente il disco, già presentato ufficialmente nella data unica dell’ultimo Alberobello Jazz, la rassegna di Alberto Maiale e Barbara Cupertino, e – il tredici luglio – nella cornice di Umbria Jazz 2011, a Perugia. «Grazie all´elettronica, al lavoro di composizione, arrangiamento e soprattutto di improvvisazione – spiega ancora Tamburini sulle note a margine del cd - la musica cullerà l´ascoltatore in un viaggio esplorativo attraverso territori sconosciuti e l´aria sarà l´ideale mezzo di trasporto». Parole che grondano di trasporto e, innanzi tutto, di cieca fiducia nelle proprie possibilità. Oltre che nella critica degli appassionati e degli addetti ai lavori.
Al primo ascolto, del resto, Contemporaneo Immaginario può persino sembrare sfrontato, di ostico impatto, tagliente. Dal vivo, poi, certe atmosfere un po’ nordiche possono anche spaventare i meno navigati o i jazzofli più romantici. Ma questa raccolta di dieci tracce ("Il Mercato delle Spezie", "Nebbie", "Arabesque", "Contemporaneo Immaginario", "Oltre l’Orizzonte", "Blue Elettrico", "Il Suono del Vento", "Albe", "Medina" e, infine, "Knives Out", l’unico brano non originale) racconta di quanto scrittura e improvvisazione possano interagire, convivere e segnare il cammino. E quanto i punti di riferimento musicali di ogni singolo protagonista e di ciascuna formazione possano intrecciarsi e tracciare un tappeto di coesistenze suggestive.
Registrato ad ottobre del 2010 nel bolognese, il lavoro può essere considerato una delle pietre miliari della produzione di Tamburini: «Il fatto è che, passando attraverso il jazz afroamericano, mi sono lasciato conquistare da quello di matrice europea e, dunque, dall’esigenza di cercare nuovi stimoli nell’elettronica, di perseguire piani sonori diversi e una certa gamma di colori, nel solco della contemporaneità. Poi, però, sono un musicista di formazione classica e mi intrigano molto gli archi». E’ così che nasce Contemporaneo Immaginario, un gioco tra il dinamismo moderno del trio di base e l’identità acustica dei Vertere, un quartetto (Giuseppe Amatulli e Rita Paglionico ai violini, Domenico Mastro alla viola e Giovanna Buccarella al violoncello) che, dopo aver proficuamente collaborato con Javier Girotto o Daniele Di Bonaventura, insiste a voler confrontarsi su terreni differenti e solo apparentemente lontani. Certificando, così, di aver orami individuato il proprio percorso. E il saldo, al momento, è positivo.

Contemporaneo Immaginario (Note Sonanti, giugno 2011)
Three Lower Colours (Marco Tamburini: tromba ed elettronica; Stefano Onorati: pianoforte ed elettronica; Stefano paolini: batteria ed eletronica) & Vertere String Quartet (Giuseppe Amatulli: violino; Rita Paglionico: violino; Domenico Mastro: viola; Giovanna Buccarella: violoncello)