mercoledì 30 maggio 2012

La luna e il sole di Stefano Clemente


Quello dell'Apulia Jazz Ensemble, ammettiamolo, è marchio che attira. Sarà per quella miscela di campanilismo e di romanticismo musicale che lo sospinge e che intriga. Soprattutto se questa formazione, appena progettata e lanciata da Stefano Clemente, chitarrista pugliese che arriva dal rock e affinatosi fuori dai confini regionali, lascia incrociare ottimi nomi di questa terra (ampiamente spendibili pure sul mercato nazionale) e giovani rampanti di casa nostra. E, in particolare, se, sulla strada, spunta pure un disco: perchè, di solito, malgrado l'ormai sempre più agevole (e, talvolta, anonimo) passaggio per le sale di registrazione, le produzioni discografiche finiscono per dignificare un tragitto, per sdoganare definitivamente il progetto, per raggiungere più facillmente la base. Cioè, chi ascolta. Cioè, il pubblico che si avvicina alle situazioni dal vivo.
Allora, la notizia, innanzi tutto: il disco si chiama The Moon and the Sun: ed è, appunto, a nome di Clemente. A cui l'Apulia Jazz Ensemble ha assicurato supporto, note, tonalità e colori. E, per la cronaca, licenziato dall'etichetta Ultra Sound Records, il lavoro è uscito proprio in coincidenza alla sua presentazione ufficiale, a Conversano, all'interno della Casa delle Arti, un centro polivalente che sta percorrendo con discreta frequenza il sentiero dei live. Dieci tracce e un guest di prestigio come Flavio Boltro, trombettista che si contende con Fresu e Bosso il podio del solista più amato della penisola: The Moon and the Sun è, come sostiene lo stesso Clemente, l'ideale evoluzione della precedente registrazione in studio, Desiderata, lanciata da Dodicilune l'anno scorso. Ma è, soprattutto, un album stimolato da forti fermenti improvvisativi. Che la presenza dei sassofoni di Gaetano Partipilo e Raffaele Casarano, del pianista Davide Santorsola, del contrabbassista Luca Alemanno e del batterista Mimmo Campanale, sotto un certo aspetto, legittima. Anche se, in realtà, nell'esecuzione dal vivo viene a mancare Boltro, ma anche Raffaele Casarano, mentre Santorsola si fa surrogare da Simone Graziano, un fiorentino giovane e convincente che, dalle sue parti, è attualmente assorbito da una collaborazione con il sassofonista Mirko Guerrini.
Non sappiamo, ovviamente, se l'Apulia Jazz Ensemble possiede un futuro definito. Se, cioè, il progetto si ramificherà con la stessa filosofia che l'ha in qualche modo partorito. Oppure se l'esperimento si rivelerà fine a se stesso, buono a immagazzinare esperienze personali e nulla più: perchè di casi come questi il nostro universo musicale è ricco. Però, l'idea ci sembra suggestiva, seppur tutt'altro che originale. E, comunque, merita un approfondimento, qualche attimo di attenzione o, almeno, un po' di curiosità. Che la situazione dal vivo sazia in un'ora e tre quarti di buona struttura melodica, di jazz moderno (ma non freddo) e di angoli pregni di buone atmosfere, imprezosite dal sax e dai frequenti assoli di un calibratissimo Partipilo. Dispiacciono, magari, i larghi vuoti in platea: il live (arricchito dal video realizzato da Giuseppe Rosato) avrebbe guadagnato ancora qualcos'altro, con una più efficace divulgazione mediatica. Ma la consapevolezza di doversi confrontarsi con troppi ostacoli servirà, chissà, ad attutire la delusione. Sicuramente, però, è un buon lavoro, ben assemblato. E dalle dinamiche dispendiose, in alcuni frangenti. Non ci sono, cioè, idee rivoluzionarie, ma un buon tessuto sonoro, un'interessante matrice compositiva, un gusto dichiarato per le contrapposizioni e un interplay largamente soddisfacente. E, se il disco ripercorre buona parte dei passi dell'esibizione dal vivo, si fa ascoltare volentieri. Un dettaglio che non fa mai male.

Stefano Clemente (chitarra) & Apulia Jazz Ensemble (Gaetano Partipilo: sassofoni; Simone Graziano: pianoforte; Luca Alemanno: contrabbasso; Mimmo Campanale: batteria) in "The Moon and the Sun"
Conversano (BA), Casa delle Arti

martedì 29 maggio 2012

Rangel e Bosso, due vecchie conoscenze




Márcio Rangel non dimentica la Puglia. E, spesso, si fa rivedere. Il mancino di Mossoró e la sua chitarra capovolta sono ospiti ormai abituali dei club di casa nostra. All'Engine di Martina, peraltro, il ragazzo si è già esibito, un paio di stagioni addietro. Questa volta, però, la compagnia è diversa. Anzi, è diverso l'altro cinquanta per cento dell'evento. La serata, cioè, è a doppia trazione: e il nome che lo accompagna è di quelli che, da solo, garantisce il sold out, sempre. Fabrizio Bosso non necessita di presentazioni e neppure di frasi gonfie di retorica. E poi, a questo punto, lo conoscono proprio tutti. Jazzisti e non. Non solo perchè tra lo Jonio e l'Adriatico ci ha anche vissuto, per un po'. Non solo perchè, da queste contrade, ci passa sempre più spesso, con progetti e artisti diversi (Sergio Cammariere, Barbara Casini, Irio De Paula, orchestre sinfoniche varie, Luciano Biondini e qualcun altro di cui ci stiamo sicuramente dimenticando), oppure affiancando gente come Gaetano Partipilo, uno degli enfant prodige di questa terra. Ma anche e soprattutto perchè la televisione e, in particolare, il palcoscenico di Sanremo (dove, proprio ultimamente, è tornato ad esibirsi) restano un veicolo promozionale che non teme concorrenza alcuna.
Duo insolito, magari: ma ormai rodato da tanti live sparpagliati ovunque, per la penisola. E forgiatosi attorno alle note della musica popolare brasiliana che Márcio Rangel Jales De Miranda ha importato, senza dimenticare di concedersi spazi per la produzione propria. Il repertorio, appunto, è una miscela di composizioni originali dell'artista nordestino, assolutamente a proprio agio quando può eseguire se stesso, liberando la sua possente impronta musicale, e di standard notissimi al grande pubblico (che, indubbiamente, finiscono per limitare e stringere la sua verve). L'approccio al live fluttua tra xaxado e samba, due ritmi diversi che riescono, però, a sottolineare la versalità interpretativa del chitarrista, ormai adottato dall'Italia e, specificamente, dalla Toscana, dove risiede da un po' di anni. Due pezzi senza accompagnamento e, quindi, sale sul palco Bosso, solido sulla propria arroganza tecnica, talvolta irridente nella sua accademia. Lo spirito latino di "Triste", di "Só Danço Samba" e di altri titoli si incrocia così con fraseggi be bop, oppure con dinamiche blues, lasciando terreno aperto agli istinti che sorgono sul momento ai protagonisti. Ma, lo ripetiamo, i passaggi più alti e più intensi scorrono sulle note di pezzi come "Jogada de Bola" (un omaggio di Márcio Rangel a Mané Garrincha, leggenda in dribbling del Botafogo e della Seleção), "Dois Amores" («Due amori: per la vita e per la musica», chiosa con sorriso impertinente il brasiliano) e, soprattutto, "Arena", un tributo alla Spagna e ai suoi chitarristi. Certo, lo sappiamo: il pubblico preferisce sempre ascoltare quello che già conosce e in tanti, ne siamo consapevoli, non concorderanno : però, la nostra opinione è questa e tanto basta.
Il concerto si esaurisce, dunque, nella leggerezza di una parata nel mezzo della platea: un trucco antico, ma sempre gradito da chi ascolta e assiste, per salutarsi e - soprattutto - per chiudere la terza rassegna del club martinese pilotato da Michele Lillo e Roberto Liuzzi, che anche quest'anno ha voluto coniugare esperienze e stili musicali differenti tra loro. Con la promessa di riprovarci anche dopo l'estate: che, di per sè, non è un fatto per nulla scontato, di questi tempi. In cui, pure a queste latitudini, parecchi gestori sono costretti a chiudere le porte alla musica dal vivo, per meri motivi economici. Quelli che dettano le condizioni e, sempre più spesso, le agende.

Márcio Rangel (chitarra) & Fabrizio Bosso (tromba)
Martina Franca (TA), Engine Club

sabato 26 maggio 2012

La strada nuova di Davide Berardi



Le prime e neppure lontane esperienze, sul filo della musica popolare, gli servono ancora. Perchè, di fatto, non ha mai tranciato definitivamente ogni contatto con quell'universo terragno e verace di versi e accordi. Perchè le radici (artistiche, ma non solo quelle) sono una condizione naturale, da cui è disagevole allontanarsi. E poi perchè i chilometri condivisi prima con i Cantinaria e, successivamente, con gli Appia Folk Ensemble e, perchè no, anche quelli con gli Elfolk sono un patrimonio personale spesso e denso, cioè indelebile. Ma Davide Berardi, oggi, rincorre le strofe più variegate, gli umori e i sapori più affettati della canzone d'autore. Di altrui produzione (è passato per la rivisitazione dell'opera di istituzioni autentiche quali De Andrè, Gaber e Modugno), ma anche assolutamente originale. Giocando, magari, sempre sul confine immaginario che separa quello che è stato (i vecchi progetti che lo hanno formato e incoraggiato) da quello che sarà (il suo nuovo itinerario musicale). Perchè ad attenderlo dietro la curva c'è la strada del cantautorato: questo è chiaro, ormai.
Il ragazzo, martinese di origine e crispianese di adozione, si è peraltro affinato, con il tempo. Dotandosi di coordinate. Scegliendo il proprio corso. Provando a metterci sempre di più del proprio. A concedersi il piacere di scrivere, di creare. L'album Cantinaria (2008) fu, del resto, un primo passo ricognitivo: ancora in bilico tra la popolare e la cantautorale, in verità. Che, però, già lasciava immaginare l'evoluzione di un chitarrista che si accompagna con la voce. Ma Chi Si Accontenta Muore, appena prodotto da Corte dei Miracoli, licenziato dall'etichetta Free-D Music e sostenuto da Puglia Sounds, è a tutti gli effetti il primo disco marchiato dal nuovo indirizzo artistico. E che ovviamente si allontana, nello spirito e nei contenuti, da Balla Ancora, una raccolta di brani della tradizione selezionati nel 2011, rigorosamente live, che costituiscono un vero e prorpio diario di viaggio intrapreso con gli Appia Folk. Un rigurgito della vita precedente, ecco.
Chi Si Accontenta Muore, dieci tracce che verranno peraltro presentate ufficialmente, per la prima volta, in un live organizzato alla Masseria Sant'Elia, nelle campagne comprese tra Martina e Locorotondo, è un lavoro che mescola un po' di ballate, qualche testo di vasto respiro e anche tre pezzi, diciamo così, parzialmente dialettali. E' il caso di "Mia Terra", un viaggio in treno sulla strada del ritorno, destinazione sud, di "L'Amore di Lunetta" e, infine, di una storia di cafoni fuorilegge come "Lu Brigante", frutto di un'idea probabilmente già abbastanza sfruttata dalla musica italiana che insegue la tradizione, ma ugualmente godibile e snella. Sullo sfondo, qua e là, varia umanità, storie di vincenti e perdenti e, infine, un omaggio al Brasile: "Copo e Cristal" ("Bicchiere e Cristallo"), che l'autore confessa di amare profondamente, è un testo che naviga tra l'italiano e il portoghese e che racconta di un sogno vero, perfettamente aderente alla realtà personale di Davide Berardi. Assistito, in sala di incisione, dal chitarrista Antonello D'Urso (che cura anche gli arrangiamenti con Vince Pastano), dal bassista Mino Indraccolo, dal fisarmonicista Giancarlo Pagliara (pure al piano, per l'occasione), da Bruno Galeone  (fisarmonica), da Francesco Ferrara (ai fiati) e dal batterista Francesco D'Amicis. In soccorso dei quali, peraltro, spuntano le incursioni di Eugenio Bennato, Roy Paci, Mario Rosini, Camillo Pace e Fabrizio Luca.
Davide (che, sarà utile sottolinearlo, vanta pure qualche esperienza teatrale: con Raffaele Zanframundo in Mondo G, un tributo a Gaber, con il fratello Gianfranco Berardi in Io Provo a Volare, un testo che si accompagna ai classici di Modugno, e con Rita Greco in Io Cammino) cerca una postura, una collocazione tutta sua. Rifacendosi ai miti del suo nuovo mondo. Rubacchiando idealmente (non è un reato) qualche tonalità (o, semplicemente, qualche timbro) a Faber e a altre figure di primo livello, se non ci siamo sbagliati. Quella che esce, comunque, è una manciata di composizioni sufficientemente ispirate, intelligenti. Come, ad esempio, "Cinque Minuti", "Senza Dire Niente", "Il Filo", "Cento e Mille", la divertita "Addio del Celibe" o la stessa "Ninnarella". Concepito tra la Puglia e l'Emilia, Chi Si Accontenta Muore sembra però un disco già maturo. Che incuriosisce anche per quel titolo ironico, che tanto ironico - in fondo - non è. «Accontentandosi sempre, si rischia di perdere la soglia minima garantita», chiosa l'autore. «In un momento in cui il Paese è sull'orlo del burrone, peraltro. Anzi: accontentandosi sempre, si rischia di morire prima del tempo». Già. Meglio pretendere, allora. Da se stessi, per cominciare.

Chi Si Accontenta Muore (Free-D Music, maggio 2012)
Davide Berardi (voce e chitarra), Antonello D'Urso (chitarra), Vince Pastano (chitarra), Mino Indraccolo (bassi), Giancarlo Pagliara (fisarmonica e piano), Bruno Galeone (fisarmonica), Francesco Ferrara (fiati) & Francesco D'Amicis (batteria e percussioni). Guest Eugenio Bennato (chitarra), Roy Paci (tromba), Mario Rosini (piano), Camillo Pace (contrabbasso) e Fabrizio Luca